La storia si ripete: la libertà vince!
di Francesco Attaguile
Svegliandomi giovedì scorso ho rivissuto le stesse sensazioni che all’alba del 21 agosto 1968 mi attraversarono la mente e il cuore di ventenne mentre, su un treno proveniente da Cracovia bloccato alla periferia di Praga, vedevo le colonne dei carrarmati russi che nella notte avevano dato inizio alla repressione del tentativo di Alexander Dubcek di realizzare un “socialismo dal volto umano”. Come descrissi nel memorabile reportage di quella drammatica giornata pubblicato da La Sicilia qualche giorno dopo, mi colpì la rabbia disperata dei giovani cecoslovacchi (allora c’era un unico Stato) piangenti e frementi via via che le radioline confermavano i nostri timori.
La stessa rabbia che assale gli ucraini e tutti noi di fronte a questa ennesima violenza dell’ennesima dittatura. L’Europa ne ha subite numerose altre, da quella nazista sulla stessa Cecoslovacchia nel 1938 – preludio della seconda guerra mondiale – scimmiottata da quella fascista che pochi mesi dopo aveva annesso l’Albania al Regno d’Italia.
Poi la defenestrazione di Jan Masaryk a Praga nel 1948 e la sanguinosa repressione sovietica della rivolta ungherese del 1956, con l’impiccagione dei capi Imre Nagy e Pal Maleter.
Fu preceduta dai moti operai repressi a Poznan in Polonia, dai quali iniziò l’incubazione del movimento che doveva diventare 25 anni dopo a Danzica il sindacato Solidarnosc, che, ispirato e sostenuto da Papa Woitila, scardinò il comunismo sovietico e liberò l’Europa dalla gabbia di Yalta.
Quella stessa gabbia che ora Putin, ultimo epigono di quei regimi, vuole fare anacronisticamente riapparire come un fantasma dalle macerie del comunismo. È il disegno di uno zombie che è riemerso imbalsamato da quelle macerie (Putin era il capo dei servizi segreti sovietici) resistendo per un altro trentennio all’assedio degli aneliti di libertà, ma che proprio per la sua prospettiva tutta rivolta all’indietro è destinato anch’esso a fallire. Come fallì il folle disegno di Hitler e poi quello dell’URSS che, pur strascicatosi fino all’89, si infranse sulla crescita delle tecnologie, delle comunicazioni globali e sullo sviluppo del libero mercato.
Oggi è ancora più illusorio tentare di rieditarlo, per la diffusione anche in quei Paesi – Russia compresa, come dimostra il dissenso dei giovani di Mosca e San Pietroburgo – di una consapevolezza nuova dei diritti di libertà e della dignità della persona. Proprio come nei precedenti corsi storici, questo ricorso sta producendo enormi danni ai popoli che lo subiscono, ma non ha alcuna prospettiva di affermarsi e fallirà anch’esso miseramente: mi auguro che se ne possa celebrare presto la sconfitta come mi capitò a Berlino, partecipando all’euforica festa del Capodanno ‘89 subito dopo la caduta del muro.
Non potendo intervenire con le armi (sarebbe follia una terza guerra mondiale atomica) è nostro compito accelerarne lo sgretolamento e limitarne il danno con ogni possibile appoggio a chi vi si oppone, soprattutto con il contagio delle libertà civili e del loro rispetto, che alla fine hanno sempre il sopravvento (anche in Cina questo processo, lento ma inesorabile, è iniziato in piazza Tienanmen).
Con la stessa profezia con cui concludevo il reportage dell’invasione del ‘68 e la festa sulle rovine del muro di Berlino, presagisco che con l’invasione dell’Ucraina inizia la fine dell’ultimo despota europeo del secolo passato.