DALLE FESTE DEI PARTITI ALLE FESTE DEI QUOTIDIANI

DALLE FESTE DEI PARTITI ALLE FESTE DEI QUOTIDIANI

di Giuseppe Gullo

     Per molti anni, almeno fino alla scomparsa dei Partiti provocata dall’azione demolitrice della Magistratura, le feste dei Partiti erano un rito annuale di grande rilievo. Esse segnavano la fine della pausa estiva e davano inizio all’attività politica che si sarebbe sviluppata nei mesi successivi. Nei partiti più grandi e organizzati queste kermesse si svolgevano a livello provinciale per concludersi in un grande raduno nazionale che veniva concluso dal comizio del Segretario che dettava ai militanti la linea da seguire nell’azione quotidiana.
     Lo stato di salute di un partito si misurava dal successo della manifestazione anche per la parte ludica e gastronomica. I bollettini emessi con un certo trionfalismo dagli organizzatori citavano non solo il numero delle persone che avevano visitato gli stand ma anche i pasti serviti a prezzo politico e le copie dei giornali distribuite nonché le ore di ballo e di intrattenimento. I discorsi conclusivi erano attesi con ansia e spesso segnavano la fine di governi e di alleanze e aprivano altri scenari prefigurando fasi nuove fino a quel momento inedite. L’importanza e l’influenza di un dirigente si misurava dallo spazio che gli veniva riservato nei dibattiti che si svolgevano nelle giornate della Festa, che ai tempi del loro massimo splendore durava un’intera settimana.
     Annientati i partiti, con le eccezioni che sono note, anche le feste sono finite perfino quelle dell’Unità organo del PCI, PDS, Pd, alla cui direzione si sono dati il cambio nei decenni i massimi dirigenti comunisti e post, con l’eccezione di Berlinguer, fino al 2016 .Dopo il quotidiano fondato da Antonio Gramsci finì tra le proprietà di un imprenditore napoletano estraneo all’area democratica e a essa antitetica.
     Finito quel tempo vi sono stati tentativi, in verità poco brillanti, di trovare luoghi di confronto politico intorno ad una testata giornalistica. Questo è il sintomo della nuova realtà cresciuta dopo la fine dei partiti come li abbiamo conosciuti dalla liberazione al 1994. Il giornale a cui fa riferimento la festa non è più l’organo del Partito come avveniva con l’Unità, l’Avanti, il Popolo o II Secolo d’Italia, ma è esso stesso il partito/movimento. Il Direttore del quotidiano è il leader di fatto.
     E’ accaduto prima con Repubblica all’epoca della Direzione di Scalfari e poi di Mauro con la differenza, non secondaria, che il quotidiano allora esercitava una grande influenza sulla politica del Pd ma ne era separato, era un suggeritore, l’anima critica e intellettuale mentre adesso Il Fatto Quotidiano si identifica con il Movimento 5stelle, in modo più pregnante dopo la scomparsa di Casaleggio e l’uscita di scena di Grillo, con la fine dell’imbroglio della piattaforma telematica che aveva indotto alcune migliaia di sprovveduti a credere di potere pesare e decidere sulle scelte politiche. Chi ricorda più come venivano scelti i candidati al Parlamento nel 2018 o quali erano i limiti inderogabili di durata dei mandati e delle incompatibilità dovute a incidenti giudiziari? Populismo allo stato puro utilizzato per creare false aspettative e abbandonato quando non serviva più.
      Oggi il Fatto/5stelle è un misto di giustizialismo, di avversione rancorosa verso la c. d. casta e i suoi veri o presunti privilegi, con l’ovvia eccezione dei propri di cui fanno un uso continuo e senza ritegno, e fa da amplificatore di alcune Procure che fanno filtrare notizie riservate su indagini in corso per consentire scoop mirati a sostenere o danneggiare qualche esponente ritenuto degno di tutela o di attacco, a seconda che si tratti di un amico o di un avversario. Per il resto serve da passerella a personaggi caduti di scena che avvertono però il bisogno irrefrenabile di continuare ad apparire.
     Tra questi un posto particolare lo occupa Piercamillo Davigo, che dai tempi dell’inchiesta di Milano, e cioè dal 1994, ha ricoperto un ruolo da protagonista nel mondo giudiziario. La parabola che lo ha visto prima mente giuridica del pool, per conto del quale ha elaborato la teoria della presunzione di colpevolezza e dell’uso della carcerazione preventiva per ottenere confessioni e chiamate di correo, poi Presidente di Sezione della Cassazione, capo di una corrente dei magistrati, Presidente dell’Anm e membro del Csm, infine condannato con sentenza definitiva per violazione di segreto d’ufficio nella vicenda dei verbali segretati distribuiti sa terzi. Davigo, per l’appunto, da quella tribuna continua a dare contributi importanti e significativi per capire come opera, talvolta, la magistratura inquirente. Le cronache riferiscono che interrogato sull’opportunità di introdurre la separazione delle carriere tra inquirenti e giudicanti, l’ex dottor Sottile abbia enunciato una nuova teoria alla quale nessuno aveva ancora pensato. Davigo sostiene l’inutilità della riforma in quanto i PM hanno sempre concretamente la possibilità di intervenire per far sì che le loro inchieste ottengano il risultato sperato e cioè la condanna degli imputati.
      Alla festa del Fatto Quotidiano ha detto che, se si separano le carriere, di fronte ad un giudice che, più volte, assolve gli imputati da lui accusati, il PM si sentirà finalmente libero di andare dal suo collega della sede competente dicendogli: <<Questo giudice o è un cretino, o è un corrotto. Fagli un po’ una indagine patrimoniale>>. Aggiunge di sapere con certezza per esperienza quarantennale che questo tipo di indagine atterrisce qualunque magistrato. Non dice le ragioni ma le lascia intuire. Una simile affermazione, fatta pubblicamente da chi ha ricoperto per molti anni incarichi delicati apicali nell’ordine giudiziario, non può che lasciare sgomenti i comuni cittadini e sperare che le riforme siano fatte presto anche per quanto riguarda la competenza in materia disciplinare.
     Dove sta di casa la Giustizia giusta?

Fonte Foto: Wikimedia CommonsOriginePublico dominio 

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