LA NOSTRA POLITICA INDUSTRIALE AL NODO DELL’ILVA

LA NOSTRA POLITICA INDUSTRIALE AL NODO DELL’ILVA

di Giuseppe Gullo

     Le tragiche vicende delle due guerre, che ormai da anni stanno sconvolgendo e insanguinando l’Occidente, hanno messo in secondo piano i problemi di politica interna diversi da quelli strettamente legati ai fatti bellici ma di grande rilievo per l’economia e la politica italiane. Uno di questi ruota intorno all’Ilva di Taranto e al suo futuro. È una questione vecchia di decenni che è costata alle casse dello Stato decine di miliardi senza che abbia avuto soluzione e neppure il serio avvio di una fase di superamento della grave crisi nella quale si trova. La storia del più grande investimento nel Mezzogiorno che ha dato occupazione a decine di migliaia di operai, considerato anche l’indotto, e ha creato un inquinamento ambientale che non ha probabilmente l’eguale in Europa causando centinaia di morti e un enorme disastro ad un’intera vasta area, sembra essere giunta al suo epilogo.
     Ripercorrerne anche sinteticamente le vicende dal 1945, allorché iniziò la produzione fino agli ultimi decenni nei quali si sono succedute decisioni di ogni genere tutte improntate a tamponare, rinviare, tirare a campare, evitare di affrontare i problemi con provvedimenti seri e oculati, sarebbe un lavoro di anni e di vera e propria ricerca sul tema: “ Come sperperare decine di miliardi per affossare e distruggere il più grande stabilimento siderurgico d’Europa“.
     In questi giorni, quasi in sordina per le ragioni sopra indicate, uno dei pochi esponenti politici che conosce a fondo il problema e ha proposte concrete da avanzare, Carlo Calenda, ripropone la questione. Afferma il leader di Azione che la chiusura dello stabilimento è inevitabile e che il Governo sta trattando solo per trovare una via d’uscita che mitighi lo tsunami occupazionale che ne deriverà. Ovviamente a pagare sarà sempre Pantalone se, come sembra, si pensa ad una cassa integrazione speciale fino al pensionamento di buona parte dei dipendenti.
     Come spesso avviene in casi di questa importanza, vi è chi ritiene di poter tirare fuori dal cilindro la sorpresa che salva tutto. È il caso del Presidente di Federacciai che propone di trattare lo stabilimento di Taranto come un asset militare per la necessità che avrebbe il Paese della produzione di acciaio nella fase di aumento della spesa militare. È evidente che l’idea sottesa fa riferimento allo stanziamento NATO del 5% del Pil in dieci anni per una somma complessiva di 450 miliardi per armamenti e altro. Quello che non viene detto è che l’intero comparto metallurgico è in grande sofferenza e che la produzione nazionale di acciaio è scesa del 5% rispetto agli anni precedenti ed è tuttora in diminuzione. Né viene affrontato il tema del risanamento che è pregiudiziale rispetto a qualunque progetto di rilancio industriale, il cui costo si aggira sui 15 miliardi ( fonte Calenda).
     Non è solo il leader di Federacciai a pensare che i futuri stanziamenti per la difesa possano risolvere surrettiziamente problemi che si trascinano da decenni. La “furbata” l’ha tentata anche il capo della Lega, Ministro delle infrastrutture, che lancia l’idea del ponte sullo stretto di Messina come opera strategica militare nel contesto dei progetti di sicurezza nazionale, una sorta di lasciapassare per fare blindare in sede europea un’opera da molti contestata in Italia. Nel caso del ponte, invece, il vero problema è la sua reale fattibilità in piena sicurezza secondo il progetto predisposto, in una prospettiva di sviluppo di una grande area insulare, naturale riferimento del Maghreb.
     Il Governo su questi temi dimostra tutta la sua inadeguatezza, un’approssimazione totale e una insufficiente preparazione su un dossier di grande rilievo. Cosa fa la differenza tra un esecutivo che ha una capacità progettuale di medio/lungo periodo e uno che vive “alla giornata “? Ogni qualvolta si sente affermare dalla Presidente del Consiglio e dai suoi vice che l’attuale è un Governo di legislatura, viene da chiedersi se chi l’afferma ha chiara la differenza che riguarda non solo un dato temporale quanto la capacità di progettare un futuro migliore con la soluzione di problemi che riguardano il benessere fisico ed economico di milioni di persone.
     La differenza è sostanziale e riguarda non solo il centro destra al Governo ma anche l’opposizione che non ha una credibile proposta sul problema Ilva, anzi ha al proprio interno il leader pentastellato che da Presidente del Consiglio non volle la vendita dell’acciaieria al più grande produttore mondiale del settore decretandone così l’agonia che la sta portando alla fine.
      Ha ragione Calenda quando indica in una forza politica liberale, progressista ma di centro moderato, la chiave di volta per supplire a evidenti carenze di chi oggi governa e di chi si oppone.

Fonte Foto: Flickr.comAntonio SepranoLicenza

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