
LE GRANDI NOVITA’ DEL 2025: UN NUOVO PAPA E UNA NUOVA AMERICA
di Giuseppe Gullo
Due grandi eventi avvenuti in queste settimane inducono a riflettere e a considerare come la realtà talvolta smentisca radicalmente il modo in cui essa viene raccontata e rappresentata.
L’interesse e l’attenzione che si sono manifestati intorno alla morte di Papa Francesco e all’elezione del suo successore sono stati enormi, di gran lunga superiori a quelli che sarebbe stato ragionevole ritenere. Non potrei dire con precisione l’ampiezza dell’interesse fuori dal nostro Paese. Ciò che è certo è che in tutti gli ambienti, anche molti diversi e lontani tra loro, credenti e non, praticanti e non, intellettuali e non, abitanti di grandi città e di piccoli centri periferici, tutti quanti, ovviamente con diversa intensità, hanno “partecipato” a questo rito incomprensibile mediante il quale 132 uomini anziani, provenienti da molte parti del mondo, riuniti nella più bella sala del mondo, forse ispirati da una forza soprannaturale, eleggono il Capo della più antica istituzione che il pianeta conosca.
Perché la meraviglia? L’elezione del successore di Pietro è sempre un fatto storico che colpisce tutti e intorno al quale si crea una grande atmosfera di attesa. Il fatto è che la Chiesa vive uno dei periodi più difficili della sua storia bimillenaria. Ne sono prove certe quelle che un teologo non ortodosso definisce inquietudini che la attraversano. Aldilà di questo, vi sono i fatti: Chiese vuote, funzioni con pochi fedeli, spesso solo anziani; crollo delle vocazioni, in modo particolare nei Paesi più sviluppati; scandali emersi e insabbiati che hanno coinvolto anche importanti esponenti della gerarchia ecclesiastica; affarismo e speculazioni finanziarie e immobiliari; perenne contrasto tra progressisti e conservatori; silenzio e tolleranza sui grandi temi della sessualità, della procreazione, del divorzio, del fine vita, del dolore innocente.
Sappiamo tutti che vi sono tante Chiese, tra loro molto diverse: quella dei missionari, quella che soccorre gli ultimi e i diseredati, quella che vive in dimore regali, quella che pratica la povertà insieme all’altra che investe centinaia di milioni in operazioni sui mercati finanziari. La Chiesa del dialogo e dell’ascolto, e poi l’altra della difesa di dogmi ai quali non crede più nessuno, inattendibili e che sono immersi nella leggenda. Eppure, una simile realtà riesce a mobilitare milioni di persone in tutto il mondo e a creare aspettative che nessun’altra istituzione è in grado di fare. Curiosità? Forse, desiderio di dire io c’ero? Anche; voglia di mostrare un selfie con lo sfondo del colonnato del Bernini? può darsi. Tutto questo, tuttavia, non spiega le dimensioni del fenomeno anche in relazione alla crescente difficoltà della Chiesa di riuscire ad essere in sintonia con i tempi. Penso alla lontananza delle nuove generazioni dall’istituto del matrimonio, divenuto ormai l’eccezione tra le giovani coppie rispetto alla convivenza, spesso anche in presenza di figli. Penso alla cremazione ancora non approvata dalla Chiesa, sebbene sia sempre più diffusa e frequente, al diniego a partecipare ai sacramenti per i divorziati e a tante troppe cose retaggio di un mondo finito per sempre.
Talvolta capita di pensare che nell’epoca dell’IA la Gerarchia sia ferma a Adamo ed Eva e al peccato originale. Ciò nonostante, buona parte del mondo occidentale e, in misura ridotta, gli altri Paesi di religione diversa hanno seguito momento dopo momento quanto stava accadendo sotto la volta della Cappella più bella e famosa del mondo. Io credo che questo interesse si possa spiegare solo con la Speranza. Con l’idea che il successore di Pietro possa modificare il corso degli eventi che drammaticamente si svolgono nel pianeta e che ripropongono tragicamente il quesito di dove vada il mondo che sembra correre verso l’apocalisse. Una speranza appunto piccola e flebile meglio, comunque, della disperazione e della rassegnazione. La durezza della realtà si è fatta carico di ridimensionare subito le attese. Gli appelli alla pace sono rimasti inascoltati come lo erano prima, i bombardamenti continuano ovunque e non si riesce ad ottenere neppure una tregua per cercare una soluzione diplomatica. Eppure, il mondo spera e lo fa puntando su chi non ha divisioni e armi ma perseveranza e volontà di vedere finire sangue e violenza.
Abbiamo bisogno di nuovi profeti che ci parlino di ciò che non c’è ma vorremmo ci fosse e che, forse, potrebbe arrivare. Abbiamo bisogno di illuderci, di sperare proprio per evitare di impazzire e di avere sempre ricorrente e senza risposta la domanda: che senso ha tutto questo?
Questa affermazione è un’evidente e definitiva condanna della politica e di coloro che ne sono protagonisti. Il livello dei problemi è tale per cui dovrebbe essere la politica a prendersi cura di risolverli, e non a chiacchiere ma con decisioni e azioni mirate. Niente di tutto questo è ciò che avviene. Le promesse di Trump sono rimaste tali dopo quattro mesi dal suo insediamento e tali resteranno se continueranno l’arroganza e la presunzione ad ispirarle. La Russia ha dimostrato di avere risorse sufficienti per affrontare ogni embargo e di possedere uomini e mezzi per sostenere lo sforzo bellico. Questo non può essere ignorato se non a condizione di restare impantanati in sabbie mobili pericolose. L’Ue sulla questione Ucraina è profondamente divisa, tanto da sembrare ininfluente, tra chi propone un intervento diretto, che sarebbe esiziale per tutti, e coloro che pensano che i molti miliardi di aiuti potrebbero essere utilizzati a fini sociali, e chi mette mano al portafoglio ben sapendo che questo ha un limite che sta per essere raggiunto.
La guerra in Ucraina ha sancito il fallimento del sogno dell’UE come soggetto politico in grado di agire come interlocutore credibile e univoco sullo scenario del nostro stesso Continente. La Von der Leyen vaga da una Cancelleria a un’altra come l’ombra di un sogno incompiuto.
Tutti aspettiamo Trump. Ed è qui il secondo aspetto che lascia sconcertati. Chi segue le vicende della politica americana, seppure da lontano, si rende conto che è in atto uno scontro di eccezionale portata tra i ceti intellettuali e più ricchi degli States e il Presidente miliardario eletto con il voto popolare. In ballo vi sarebbe la salvaguardia della Democrazia nel Paese guida dell’Occidente. Addirittura, a NY un gran numero di persone starebbe considerando la possibilità di lasciare gli USA per trasferirsi altrove, soprattutto in Europa. Vengono portati esempi importanti di questo andazzo. Dalla revoca dei finanziamenti statali ad alcune università al blocco dei fondi per la ricerca scientifica, alla politica dei dazi.
Tuttavia, resta il fatto che le carte le da sempre l’amministrazione americana e che l’influenza e il “peso” di un Paese vengono misurati dall’accesso che i suoi rappresentanti hanno allo studio ovale. Dal conflitto in Palestina all’Ucraina, al nucleare dell’Iran, alla sopravvivenza della Nato, tutto sembra essere in mano della Casa Bianca come regolatrice degli equilibri internazionali.
Tutto questo in forte contraddizione con la vulgata che vuole il declino dell’occidente e della sua capacità di intervenire nelle vicende degli altri Paesi. Il Pil americano è stato quasi 27mila trilioni di dollari nel 2024, in crescita del 2,8 %. Nello stesso anno la Cina, che ha una popolazione 5 volte più grande, ha avuto 17,5 trilioni di dollari, in crescita del 5%, mentre la Russia si ferma a poco più di 2.000 trilioni con lo stesso numero di abitanti e un territorio molto più vasto; l’Europa, con un maggior numero di abitanti, supera i 2.000 trilioni con una crescita di appena lo 0,8 per cento. Il Giappone ha un pil quasi doppio rispetto a quello europeo ma con un indice maggiore di crescita. Facendo qualche conto, si accerta che gli Usa da soli producono più degli altri messi insieme. È questa la partita che si gioca nel futuro immediato e a questo è collegata la decisione di limitare il flusso di dollari dagli Usa verso il resto del mondo con un occhio attento alle terre rare e ai Paesi del Golfo, la cui ricchezza è legata a un solo elemento che presto potrebbe essere sostituito.
Mentre la guerra continua a fare morti e macerie in Ucraina, l’amministrazione Usa firma un accordo con il Governo di Kiev per lo sfruttamento congiunto delle risorse minerarie nelle c. d. terre rare, che prevede investimenti importanti e forniture di armi per i prossimi anni. Non esattamente un segnale di distensione. Ma si sa che gli affari sono affari in pace e in guerra.
Da un lato la speranza per quello che potrà fare Leone XIV con la forza di una diplomazia antica e collaudata, dall’altro lo strapotere economico e militare degli Usa.
E l’Europa?
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