QUANDO SI PASSA DALL’OPPOSIZIONE AL GOVERNO, E VICEVERSA
di Giuseppe Gullo
Ho già avuto occasione di scrivere, al momento della presentazione del Governo Meloni, che uno dei punti di caduta del nuovo esecutivo, E non il minore, era la nomina a Ministro dell’Agricoltura dell’on. Lollobrigida, cognato del Presidente del Consiglio. Rilevavo che il primo governo guidato da una donna nella storia del nostro Paese segnava anche, in negativo questa volta, il primato di vedere nel Consiglio dei Ministri due affini prossimi come non era mai accaduto nella storia della Repubblica, risalendo il solo precedente al Governo Mussolini nel quale il genero Ciano ricopriva l’incarico di Ministro degli Esteri. Altri tempi, diversi personaggi e, se mi è consentito, anche altro livello, posto che non risulta nessuna precedente competenza e/o esperienza specifica nel settore da parte dell’attuale responsabile degli affari agricoli.
Occorre dire che la pratica delle promozioni familiari in politica, sebbene a un livello più basso di quello ministeriale, è frequente oggi come lo era stato nella prima Repubblica. Si possono portare molti esempi che riguardano parenti e affini d’importanti esponenti della DC (cito a memoria: il figlio di Cossiga, il genero di Andreotti, il fratello di De Mita), ma anche del PSI (il cognato di Craxi) e del PCI (la moglie di Togliatti) sebbene in misura marginale. Più recentemente si sono verificati vari casi nel PD: De Luca presidente della Campania e il figlio deputato, Boccia e signora, Franceschini e signora, ma nessuno, a mia conoscenza a livello di Governo centrale. Una cosa è fare il parlamentare, altra è ricoprire la carica di ministro e in questa veste partecipare e votare nel Consiglio dei Ministri.
Ho preso le mosse da questo rilievo che mi pare importante non solo dal punto di vista della forma quanto da quello del modo di intendere la funzione ricoperta, per dire che la coerenza e la trasparenza dei comportamenti e delle azioni politiche hanno una grande importanza nel rapporto cogli elettori e sono uno dei parametri per mezzo dei quali le forze politiche vengono giudicate.
Mi riferisco specificamente a due questioni della massima importanza, nelle quali l’omologazione dei comportamenti in qualche modo legittima la qualunquistica affermazione che nell’esercizio del potere tutti si comportano allo stesso modo.
E’ un fatto che il Governo in carica da poche settimane fa ricorso ai decreti legge più o meno nella stessa misura degli esecutivi che l’hanno preceduto. Solo che fino a pochi mesi fa, quando era la sola forza parlamentare di opposizione, FdI invocava in tali casi l’intervento del Presidente della Repubblica e lo sdegno dell’opinione pubblica per essere stato il Parlamento espropriato delle sue prerogative costituzionali, sia in relazione alla titolarità del potere legislativo, sia per quanto riguarda l’esercizio della funzione di controllo politico sugli atti del Governo. Oggi queste stesse osservazioni vengono fatte dal PD che, divenuto opposizione per volontà degli elettori, recita una parte consunta senza avere ovviamente alcuna credibilità, essendo stato esso stesso interprete dell’altro ruolo e dell’altra pratica legislativa sino a poche settimane prima. L’elettore che assiste a questa recita è naturalmente portato, con molte ragioni, a ritenere che è tutta una finzione, proprio come quella di una commedia nella quale ciò che si rappresenta non è la verità bensì una sua proiezione, come tale suscettibile di essere modificata a piacimento di chi scrive il copione.
I mezzi di comunicazione riportano con grande evidenza gli allarmati peana dei partiti che vedono sostituiti dall’oggi al domani, senza neppure i classici otto giorni di preavviso, importanti amministratori di società controllate dallo Stato in forza di quello che viene definito, con un brutto anglicismo, lo “spoil system”. Se qualcuno avesse voglia di fare una facile e rapida ricerca verificherebbe che la stessa identica cosa è sempre avvenuta nel momento in cui un nuovo Governo si è insediato. Anche in questo caso l’operato del sostituito, le sue capacità e i risultati ottenuti non contano nulla o quasi, non sono tenuti in alcuna considerazione ma l’unica cosa che conta è l’appartenenza, il rapporto fiduciario, l’essere legato alla cordata di chi è chiamato a decidere e nominare. Anche in questo caso il cittadino-elettore che apprende queste notizie non fa altro che considerare che chi protesta è lo stesso soggetto che mesi prima ha fatto esattamente la stessa cosa a parti invertite, magari costruendo curricula gonfiati, elencando master più o meno qualificanti e competenze anch’esse improbabili.
Al riguardo delle due questioni che ho citato, non ho letto da parte dei candidati alla Segreteria del PD neppure un rigo, nessun proposito anche generico di invertire un sistema sbagliato e che causa sconcerto e confusione negli elettori. Dalle altre forze politiche il silenzio è tombale. Scrivere nuove regole alle quali attenersi nel caso in cui il voto legittimi la chiamata al Governo di chi le formula, sarebbe un modo realmente nuovo e in qualche misura “rivoluzionario” di operare in maniera trasparente e rispettosa nell’interesse delle Istituzioni, in conformità al mandato ricevuto.
La “ diversità” in senso positivo passa anche da questo e costituisce un discrimine sostanziale, non di mera facciata.