SI VIS PACEM, PARA BELLUM !

SI VIS PACEM, PARA BELLUM !

di Giuseppe Gullo

     Si vis pacem, para bellum. Ciclicamente, per le differenti contingenze determinate da questioni interne e/o internazionali, antiche massime dei nostri padri latini vengono rispolverate e utilizzate a proposito e, talvolta, a sproposito. Se vuoi la pace preparati alla guerra, il brocardo risale addirittura al IV secolo a. c. ed è stato usato di continuo nei 25 secoli trascorsi dalla sua prima apparizione da eminenti personaggi della storia antica e di quella più recente, da Cicerone a … Meloni. Fa piacere constatare che la nostra Presidente del Consiglio, per il tramite di chi cura la preparazione dei suoi interventi pubblici, faccia ricorso a dotte citazioni in latino per di più su un argomento di grande rilievo come quello del c.d. riarmo.
     La decisione dei Paesi che aderiscono alla Nato, con l’eccezione della Spagna, di destinare il 5% del pil per finanziare le spese per la difesa è importante ma anche divisiva. Vi è in molta parte dell’opinione pubblica la comprensibile avversione nei confronti di tutto ciò che evoca la guerra, le tragedie che da essa inevitabilmente derivano, i lutti e le distruzioni che tutti abbiamo davanti agli occhi. Solo la parte più vecchia della popolazione, ormai molto esigua, ha memoria diretta degli anni della Seconda guerra mondiale, delle morti e delle devastazioni fisiche e morali di tutto il Paese, mentre le generazioni nate immediatamente dopo la liberazione ricordano la povertà dell’Italia del dopoguerra, economicamente in ginocchio e mortificata dalle sciagurate scelte del regime fascista e della Monarchia. Vi è in tutti il rifiuto della violenza e il conseguente rigetto di tutto ciò che a essa è funzionale.
     La realtà è purtroppo del tutto diversa dai desideri e impone scelte in alcuni casi difficili e dolorose. Sembra quasi che a un certo momento i milioni di morti, le distruzioni, le inaudite violenze vengano dimenticate e si riprenda a fare della forza l’unico orribile strumento da utilizzare. Torniamo a rivedere tragiche immagini che avremmo voluto non vedere mai più, mentre il diritto internazionale è inesistente e tutte le organizzazioni nate con la finalità di risolvere per via diplomatica i contrasti tra le Nazioni sono solo scatole vuote del tutto ininfluenti sullo sviluppo degli eventi.
     I torti e le ragioni si mescolano e si confondono tanto che a un osservatore che si sforzi di essere obiettivo è impossibile affermare che il male è soltanto da una parte e, per converso, che il bene sta dal lato opposto. Chi ha subìto l’aggressione diventa a sua volta carnefice di civili inermi, attacca, affama e distrugge affermando che la sola sicurezza è la distruzione fisica del nemico. Sono impazziti i governanti di quei Paesi o siamo noi, che sentiamo la guerra vicina e tragicamente incombente, a non comprendere fino in fondo quello che sta accadendo? Il fatto è che anche chi è fermamente convinto delle ragioni di Israele, come chi scrive, ritiene che il limite della violenza e della brutalità sia stato superato. Chi ha subito la Shoah non può e non deve usare mezzi analoghi contro i nemici. Se lo fa, accetta il buio della ragione e con esso l’omologazione degli eventi.
     Tutto questo ha molto a che vedere con il riarmo. Chi non lo intende finge di non capire o, più probabilmente, punta a carpire strumentalmente il consenso di chi è contrario a spendere somme importanti per acquistare armi e pagare il personale che deve utilizzarle. Si tratta, per quanto riguarda l’Italia, di 45 miliardi di euro l’anno per dieci anni che saranno reperiti con ogni probabilità con nuovi debiti. Ritorna perentoriamente il problema delle scelte politiche in ordine alla destinazione dei fondi disponibili da parte dei singoli Paesi. Nessun dubbio che sarebbe preferibile che questa ricchezza fosse utilizzata per migliorare la qualità dei servizi pubblici. Ma non è possibile farlo e il problema non è eludibile.
     A tal proposito la vera questione riguarda le modalità di utilizzo delle rilevanti somme destinate alla difesa che saranno nel bilancio dello Stato le più elevate subito dopo quelle spese per la sanità e maggiori di quelle destinate all’istruzione, alla ricerca e alle famiglie. Il fatto è che la spesa militare nazionale al di fuori di un programma europeo, con un comando unico e condiviso, rappresenta una risposta parziale e insufficiente rispetto al grande problema della sicurezza e dell’integrità territoriale dei Paesi dell’UE. Nei termini in cui si è posto potrebbe risolversi nel riarmo della Germania con le legittime preoccupazioni che ciò comporta.
     Allo stesso tempo, la guerra lampo di Israele e Usa contro l’Iran, dichiarata finita senza vincitori né vinti come se non fossero state sganciate decine di tonnellate di bombe e non fossero state eliminate decine di persone, ha aperto un nuovo capitolo che è tutt’altro che chiuso, in barba a ciò che si vorrebbe fare intendere. C’è da augurarsi che coloro che hanno in mano le sorti del mondo siano saggi ed equilibrati e abbiano veramente a cuore i destini delle persone.

Fonte Foto: Wikimedia CommonsLuis Garcia (Zaqarbal)Licenza

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