La riforma della giustizia, una storia che si perpetua

La riforma della giustizia, una storia che si perpetua

di Giuseppe Gullo 

La lotta infinita all’interno della Procura di Milano continua con virulenza, a testimonianza del fatto che il malessere non era rappresentato solo dalla presenza al vertice del procuratore Greco ma ha radici ben più profonde. L’atto più recente è lo scambio di accuse tra il reggente e l’aggiunto De Pasquale, uomo di punta dell’Ufficio, capo del dipartimento affari internazionali. È noto che De Pasquale godeva della fiducia incondizionata del dott. Greco, che per lui aveva creato il nuovo Dipartimento puntando sulle sue capacità per ottenere importanti risultati, almeno fino alla disastrosa gestione dell’indagine Eni-Nigeria, conclusasi con una cocente sconfitta dell’accusa.

Il reggente, che andrà in pensione tra pochi giorni, fa parte invece del folto gruppo di oppositori che vede De Pasquale come un arrogante, privo di capacità organizzative, prevaricatore e prepotente tanto da avere preteso e ottenuto di avere un carico di lavoro ben inferiore rispetto a quello degli altri Dipartimenti. Tutto questo e altro viene riferito ai commissari europei incaricati di accertare l’efficienza dell’attività di contrasto della Procura alla corruzione interna e internazionale proprio mentre il CSM nomina come successore di Greco il P.G. di Firenze, derogando alla tradizione che voleva che fosse un interno a dirigere l’Ufficio di Milano.

La novità non è di poco conto per verificare se l’arrivo di un “papa straniero” sarà un fattore di equilibrio, ovvero accentuerà i contrasti in una Procura dilaniata da fortissimi contrasti, in cui gli aggiunti preposti ai più importanti Dipartimenti non vogliono abbandonare il potere conquistato, mentre una parte dei sostituti stanno col fucile spianato aspettando l’occasione di colpire.

Intanto i panni sporchi hanno preso ormai a svolazzare in tutta Europa screditando ancora di più l’immagine dell’Italia sempre più negletta in coda al gruppo guidato da Germania e Francia.

Sul fronte infuocato della riforma elettorale per l’elezione del CSM le riunioni si susseguono senza sostanziali passi in avanti e con reciproche accuse di giocare sporco e di voler far saltare la trattativa. Il fatto è che al tavolo della trattativa vi è un convitato di pietra, l’ANM, che cerca di bloccare qualunque novità che non sia di suo gradimento e che non mantenga inalterato il potere delle toghe aldilà di ogni tollerabile limite.

E’ impressionante leggere le notizie della mobilitazione dei magistrati in tutta Italia appena si è parlato di verifiche del lavoro svolto. C’è chi ha parlato di volontà di introdurre criteri di efficientismo burocratico, chi ha, come al solito, paventato l’attacco al sacro principio dell’autonomia e dell’indipendenza, e chi ha adombrato l’introduzione di criteri punitivi e di forme di vendetta contro la categoria.

Esiste nella società moderna una struttura nella quale i giudizi non siano parametrati anche ai risultati conseguiti in termini numerici? Il Dirigente di un Ufficio che non raggiunge gli obiettivi prefissati viene mantenuto al suo posto o addirittura promosso come accade per i Magistrati? L’ANM porta avanti motivazioni del tutto prive di qualunque reale fondamento al solo fine di garantire la permanenza di aree ampie prive di controllo e di sanzioni, anche a rischio d’improduttività

Quello che si sta discutendo in Parlamento è frutto di un accordo raggiunto su una proposta di mediazione che, secondo alcuni dei protagonisti della maggioranza di governo, non inciderà sui reali problemi dell’amministrazione della Giustizia.

Non sarebbe consentito ai magistrati eletti al Parlamento, nei Consigli regionali o chiamati a svolgere funzioni di Governo di tornare ad amministrare Giustizia, mentre per fortuna è caduta la surreale ipotesi di individuare i collegi elettorali sorteggiando i Distretti delle Corti di Appello, che avrebbe rafforzato, invece diminuito, la forza delle correnti organizzate a scapito dei singoli magistrati che avessero avuto voglia di candidarsi al di fuori delle correnti.

Il passaggio dalle funzioni inquirenti a quelle giudicanti sarebbe consentito una sola volta e solo nei primi dieci anni di carriera, e verrebbe istituito un fascicolo personale dei Magistrati che conterrà le decisioni assunte o i procedimenti istruiti con il relativo esito che sarà a disposizione del CSM, ma non del Ministero per una ragione che può spiegarsi solo ritenendo che così il giudizio sull’attività svolta, affidata a colleghi, sarà improntata al principio dell’indulgenza plenaria.

Palliativi, acqua fresca, chiaro tentativo di fare pensare che si stia ottenendo chissà quale risultato mentre si evitano i nodi veri che tutti ben conoscono.  L’ANM da parte sua, giusto per appesantire il quadro già pieno di nuvoloni gravidi di temporali, minaccia il ricorso allo sciopero già sperimentato contro i tentativi, colpevolmente abortiti, del Governo Berlusconi.

Intanto su alcuni temi di civiltà giuridica il Parlamento annaspa senza riuscire a dare risposte adeguate. La Camera ha approvato in prima lettura un testo sull’ergastolo ostativo non condivisibile per i procuratori “duri e puri” che ritengono che la pena debba essere eterna e senza alcuna finalità rieducativa sicché chi sia stato condannato per un reato di mafia deve restare marchiato per tutta la vita, tranne che non abbia collaborato con una Procura, magari inserendo nel suo racconto invenzioni destinate a consumare qualche vendetta o a “bruciare” qualche avversario.

E’ la linea che ha creato la fortuna di alcuni PM che hanno fatto dell’emergenza antimafia un’assicurazione sulla carriera sebbene sia incontestabile che la forza criminale e l’organizzazione di Cosa Nostra sia ben diversa rispetto a trent’anni fa, anche per merito della Magistratura o di una parte di essa,

Finirà mai la legislazione d’emergenza che ha partorito in altro momento e con diverse urgenze il carcere duro? Avrà mai la detenzione realmente la funzione riabilitativa che le attribuisce la Costituzione? I dubbi sono legittimi e fondati.

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