ARGENTINA: DI MALE IN PEGGIO, DOPO IL PERONISMO ANCHE IL POUJADISMO!

ARGENTINA: DI MALE IN PEGGIO, DOPO IL PERONISMO ANCHE IL POUJADISMO!

di Giuseppe Gullo

Tutti i media con il giusto risalto riferiscono il risultato delle elezioni presidenziali in Argentina vinte con uno scarto significativo dal candidato dell’estrema destra Milei. L’esito elettorale è particolarmente importante per varie ragioni. Esso riguarda un immenso Paese, otto volte più grande dell’Italia, con una popolazione di circa dieci milioni di abitanti in meno, i cui legami con il nostro Paese sono fortissimi. La storia dell’Argentina, dall’indipendenza a oggi, è segnata da fasi quasi cicliche nelle quali a periodi di crescita economica abbastanza importante e continua, hanno fatto seguito veri e propri fallimenti con un’insolvenza generalizzata, inflazione spaventosa, talvolta superiore al 200%, povertà diffusa e sommovimenti politici e sociali. Eppure quel Paese ha risorse naturali eccezionalmente ricche sia nel settore primario, petrolio e gas naturale, sia in agricoltura, con allevamenti di bovini e ovini tra i maggiori e migliori al mondo, sia nel manifatturiero e nel terziario. Ciò nonostante la sua economia è fragile, il prodotto interno lordo, sebbene al secondo posto dopo il Cile nel continente sud americano, è molto distante da quelli nord americani ed europei, come conseguenzialmente il reddito pro-capite che, secondo gli ultimi dati disponibili, è poco più della metà di quello italiano. Il debito pubblico è spaventoso e la richiesta di sostegno fatta al Fondo Monetario Internazionale è ancora ferma.
In questo complesso quadro economico-politico, l’elettorato si è affidato a un giovane docente di economia e commentatore televisivo che viene definito anarco-capitalista. Il suo curriculum politico è striminzito se si considera che la sua sola esperienza risale appena al 2021, anno in cui venne eletto deputato con il 13,7% nel distretto della Capitale, giungendo terzo tra i candidati in lizza. Il suo programma riproduce, con evidenti estremizzazioni, quello delle formazioni populiste e nazionaliste e ha come obiettivo dichiarato quello di “rivoluzionare” attraverso un capitalismo libero e senza limiti il sistema economico e quello istituzionale. Per quest’ultimo in particolare ha dichiarato che “Lo Stato è un’organizzazione criminale che si finanzia con i soldi rubati con le tasse”. Nel suo programma è prevista la privatizzazione dell’istruzione e della sanità, la legalizzazione del commercio di organi, l’abrogazione dell’aborto legale, e la libertà di vaccinazione anti Covid. Contesta come infondata l’emergenza climatica e ambientale. Aderisce alla scuola economica austriaca che ha elaborato una teoria di liberismo senza regole ed è politicamente vicino agli ex presidenti Trump (americano) e Bolsonaro (brasiliano). Definisce Papa Francesco un comunista. Il che significa che Bergoglio non tornerà da Papa in patria.
Tutti sappiamo che tra il dire e il fare c’è sempre una grande distanza, ma sarebbe sbagliato pensare che i contenuti sottoposti dal neo presidente al corpo elettorale, e da questo approvati con una larga maggioranza, siano frutto di pazzia. Al contrario occorre sforzarsi di cercare di comprendere cosa spinge l’elettore di un Paese civile e progredito ad accettare simili proposte che fanno venire i brividi a chi crede nei principi della Democrazia liberale e della giustizia sociale.
Qualcosa di simile, sebbene in forma meno aggressiva e anche meno culturalmente motivata, abbiamo vissuto in Italia nel 2018, allorché un movimento populista basato sull’odio contro la casta ha avuto il 32,6% dei consensi. Alcune parole d’ordine di quel movimento fanno il paio con quelle usate da Melie: “apriremo il Parlamento come una scatola di tonno, sopprimeremo privilegi e benefit di ogni tipo, useremo il pugno di ferro contro abusi e illegalità”, dicevano i 5S. E il Presidente neo eletto ha dichiarato al popolo che lo acclamava che “la casta politica composta da politici inutili e parassiti” sarà eliminata. Sappiamo come poi sono andate le cose in Italia nella passata legislatura e i danni che i Governi Conte hanno fatto al Paese, co conseguenze pagheremo a lungo. Stiamo vedendo come il movimento anti casta sia subito diventato esso stesso “casta”, ammesso che tale termine possa essere utilizzato in modo appropriato. E’ probabile e auspicabile che il movimento anti sistema, già fortemente ridimensionato, si riduca ulteriormente fino a scomparire. Resta invece l’interrogativo del perché questo sia accaduto.
Vi è, a giudizio di chi scrive, una forte preoccupazione, non campata in aria, di un vasto ceto della popolazione, identificabile in quello intermedio, che vede fortemente pregiudicato il proprio tenore di vita e tocca con mano la prospettiva di perdere ogni tutela pubblica. Il prof. Cottarelli ha pubblicato un articolo di commento alla recente finanziaria nel quale dimostra, dati alla mano, che le categorie più tartassate sono proprio quelle medie. A questo bisogna aggiungere che alcuni servizi essenziali, prima garantiti dallo Stato, non lo sono più. L’istruzione pubblica è in caduta libera, il servizio sanitario nazionale, fiore all’occhiello del nostro sistema, è in una crisi tale per cui deve ricorrere a reclutare personale all’estero senza essere in grado di offrire un servizio decoroso, la Giustizia è malata ed è curata con palliativi, il sistema previdenziale scricchiola sinistramente e crea allarme sulla sua tenuta, il sistema fiscale è, come detto, sbilanciato in danno dei ceti intermedi, come dimostra la stessa recente pseudo-riforma dell’IRPEF, che continua a tassare al 43% sia i redditi oltre € 50.000 sia quelli milionari.
Allora? È proprio da qui che viene il malcontento, la critica, la sfiducia e la ricerca di strade nuove. Se per avere assistenza devo assicurarmi, per dare un’istruzione adeguata devo mantenere i figli al nord o all’estero in Università prevalentemente private, se per avere giustizia devo ricorrere agli arbitri, se ho il timore che da un giorno all’altro le pensioni e gli stipendi siano falcidiati per mancanza di risorse mentre il fisco preleva oltre il 40% del mio reddito, perché dovrei accettare le regole di un sistema che non mi garantisce più? Non sono domande retoriche, né può essere data una risposta scontata.
E’ questa la sfida che occorre intestarsi. Libertà e diritti, l’una e gli altri non formali né di facciata. Altrimenti, prepariamoci ad avere, anche da noi, dopo il populismo dei 5S, anche il poujadismo del XXI secolo.

 

Fonte Foto: Wikimedia CommonsVox EspanaCC0 1.0 Deed

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