IL BUCO NERO DELLE CARCERI

IL BUCO NERO DELLE CARCERI

di Giuseppe Gullo

Il riferimento esplicito fatto dal nuovo Ministro di Grazia e Giustizia alla situazione carceraria del Paese merita di essere ripreso  in considerazione dei drammi di cui è la testimonianza. Nei primi 11 mesi del 2022 si sono tolti la vita 79 detenuti, ventidue  in più che in tutto il 2021, e diciannove in più del 2020. Il rapporto dei suicidi su diecimila detenuti è di 10,6, mentre al di fuori del regime carcerario è di 0,6. “Delle 44 persone detenute che si sono tolte la vita censite dalla rivista carceraria “Ristretti”, undici sono di origine straniera. L’età media delle persone che si sono uccise in carcere nel 2021 è di 42 anni. La fascia più rappresentativa – con dodici decessi – è quella delle persone tra 46 e 50 anni , seguita da nove decessi di persone con un’età compresa tra 41 e 45 anni. I più giovani erano due ragazzi di 24 e 25 anni, morti entrambi a maggio 2021, uno nel carcere di Novara e l’altro nel carcere di Poggioreale a Napoli. Le persone più grandi di età avevano 56 anni ed erano entrambe detenute nel carcere di Cagliari. Dai dati di Ristretti, non emergono casi di donne detenute che si siano tolta la vita nel corso del 2021”.

Dalla stessa indagine risulta che nel nostro Paese, all’ultimo posto in Europa, vi sono 120 detenuti per ogni 100 posti letto disponibili. Il 31% delle persone private della libertà personale è in attesa di giudizio e cioè in custodia cautelare. Questa percentuale colloca l’Italia al 14° posto in Europa dopo tutti i Paesi più sviluppati e perfino dopo la Turchia.

Sono dati ufficiali del Dipartimento penitenziario del Ministero di Grazia e Giustizia diffusi recentemente dal nuovo Direttore che gode fama di essere un magistrato garantista. Nel corso dell’illustrazione dei dati, egli ha precisato che il dato dei suicidi è preoccupante pur essendo stato limitato dalla sorveglianza esercitata che ha sventato circa 1.000 tentativi. Dato quest’ultimo che conferma, se ce ne fosse stato bisogno, una condizione di disagio gravissima sicuramente da affrontare.

L’art. 27 della Costituzione recita: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”.

Se rileggiamo i dati sopra riportati e li mettiamo in rapporto al testo della Carta non possiamo fare a meno di considerare che essa non trova attuazione sotto molteplici aspetti. La presunzione di innocenza non impedisce di avere in custodia cautelare ben il 31% dei detenuti. Lo Stato ha pagato d’indennità per ingiusta detenzione 37 milioni di euro nel 2020 e 24 milioni di euro nel 2021. Ben 50 magistrati sono sotto procedimento disciplinare nel triennio 2019-2021 per scarcerazioni oltre i termini di legge. E’ evidente che vi è stato e continua a esserci un ricorso abnorme alla custodia cautelare ben oltre  l’eccezionalità del provvedimento prevista dalla legge. La rieducazione del condannato è un miraggio. Le statistiche sono impressionanti e impietose e dimostrano che solo il ricorso alle pene alternative è in condizione di abbattere drasticamente la reiterazione delle condotte criminose da parte dei condannati che hanno scontato la pena.

Il discorso diventa difficile quando si cerca di individuare possibili soluzioni degne di un Paese civile che non mettano in crisi le giuste ragioni di sicurezza e tranquillità dei cittadini. Contemperare questi due obiettivi è possibile. Un primo intervento riguarda l’edilizia carceraria con l’aumento della ricettività e la conseguente diminuzione del sovraffollamento, che è una delle cause del malessere della popolazione carceraria. Di questo, con diverse sfumature, i programmi elettorali dei maggiori partiti si sono fatto carico. Il punto sul quale le proposte sono molto più generiche riguarda le misure alternative e la depenalizzazione di alcuni reati. In atto le misure alternative sono l’affidamento in prova ai servizi sociali, la semilibertà, la liberazione anticipata e la detenzione domiciliare.

La legislazione che riguarda queste misure è complessa e tale da rendere difficoltosa la loro applicazione. E’ necessario ampliare il ricorso a tali misure e in particolare fermare l’attenzione sui tossicodipendenti e sugli spacciatori che rappresentano oltre il 30% del totale dei ristretti. La lettura del libro bianco che riguarda questo fenomeno è di grande interesse, pur riguardando dati del 2019 e cioè ante COVID, quando la popolazione carceraria era maggiore di circa il 10% dell’attuale. Anche per questo sarebbe stato opportuno non rinviare l’entrata in vigore delle norme cha attribuiscono al giudice del merito la possibilità di applicare una pena alternativa.

Il problema fondamentale è quello dell’approccio che non può essere quello di ritenere che la pena deve essere dura, severa, afflittiva motivata dal retro pensiero: ha sbagliato, deve pagare duramente, chiudiamolo in carcere e buttiamo la chiave! Credo che siano pochi, tra coloro che la pensano a questo modo, ad avere varcato le porte di un carcere, ad avere visto anche da lontano cosa veramente è il luogo in cui viene scontata la pena. Senza parlare di ciò che avviene dentro le mura degli istituti di pena: sopraffazione, violenza anche fisica, promiscuità e mortificazione della dignità fisica e morale dell’individuo.

Anche su questo versante la Costituzione è la sola strada da seguire. La privazione o la limitazione della libertà personale è già in sé una punizione molto severa, ma essa deve essere utilizzata per consentire al detenuto di reinserirsi dignitosamente nella società dopo avere pagato il prezzo commisurato al reato commesso.
E’ un fatto di civiltà.

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