IL GRANDE INGANNO, SECONDO PAOLO CIRINO POMICINO

IL GRANDE INGANNO, SECONDO PAOLO CIRINO POMICINO

di Giuseppe Gullo

I trent’anni trascorsi dall’inizio dell’inchiesta nota come “mani pulite” non sono stati sufficienti, e forse non avrebbero potuto esserlo, per scrivere parole di verità sulla vera origine dell’indagine, sulle forze economiche, politiche e sociali, interne e internazionali, che l’hanno voluta, sul ruolo dei servizi italiani, europei e americani, che l’hanno sostenuta, e sugli effetti disastrosi che ha avuto e continua ad avere sulle Istituzioni, i partiti, l’economia, la classe dirigente e l’immagine del nostro Paese. Solo su quest’ultimo aspetto, quello delle conseguenze, vi è un vasto consenso, variamente motivato, nel ritenere che essa ha prodotto macerie senza raggiungere nessuno degli obiettivi che dichiarava di volere perseguire.

Molti dei protagonisti di quegli anni non ci sono più o non sono in condizione di partecipare alla discussione. I sopravvissuti in parte subiscono la nemesi dei ruoli indossando ingloriosamente i vestiti degli imputati dopo avere usato la clava contro coloro che cadevano nelle spire delle loro indagini, altri tacciono o tengono conferenze e seminari con l’aria di chi vuole spiegare ciò che sarebbe potuto accadere e non è avvenuto. Forse mai come in questo caso, la storia è letteratura e la verità è leggenda, per dirla con Giuliano Ferrara.

Chi ha vissuto quegli anni sente le carni che bruciano, avverte una fitta che trafigge il cuore e la mente, si pone domande alle quali non trova risposte, si guarda intorno ancora oggi e non riesce a rendersi conto di come tutto ciò sia potuto accadere.

La lettura della testimonianza di chi è stato vittima e protagonista di quel sisma, paradossalmente, aumenta i dubbi e le inquietudini. Il tempo che viviamo segnato dalla guerra e dalla pandemia contribuisce non poco a creare questo stato d’animo quasi da “giorno dopo”, da reduce di uno scontro sanguinoso, violento e crudele.

Cirino Pomicino è stato un uomo politico importante nella c.d. prima Repubblica. Lo definirei esponente acuto e potente della seconda fila del gruppo dirigente di quegli anni. Due passi dietro rispetto al suo capo corrente, Giulio Andreotti, distante dal potere e l’influenza degli altri capi della DC come dal leader socialista, ma pur sempre influente, a conoscenza di buona parte delle attività riservate del Governo e dei grandi gruppi economici.

Ebbene l’ex Ministro del Bilancio riferisce una serie di fatti e scrive una quantità di considerazioni che fanno venire la pelle d’oca. Alcuni di questi mi hanno impressionato particolarmente.

Il giudizio sul Governo Ciampi è severissimo. Pomicino sostiene che la revoca del carcere duro, decisa da quel Governo, fu il prezzo pagato alla criminalità organizzata per far finire la stagione degli attentati. Avalla sostanzialmente la tesi della trattativa, smentita dalla Corte d’Appello di Palermo, affermando che sono state indagate le persone sbagliate. Non cita fonti né episodi particolari, mette in correlazione i due fatti in rapporto di causa-effetto.

In materia economica non è meno tranciante, allorché riferisce il caso della plusvalenza di migliaia di miliardi di lire incassata dall’ing. De Benedetti al quale venne aggiudicata la gara della seconda linea telefonica proprio negli ultimi giorni della sua attività di Governo, nonché la riduzione di un paio di punti dell’avanzo primario. Un disastro.

Da’ per scontato l’intervento dei servizi americani a sostegno di “mani pulite “ per far pagare a Craxi e Andreotti il caso Sigonella, allorché l’intervento dei Carabinieri impedì la cattura di Abu Abbas da parte dei corpi speciali Usa. In quell’occasione il Primo Ministro e il Ministro degli Esteri, Craxi e Andreotti, mantennero la parola data al Presidente egiziano salvando la vita a centinaia di persone.

Non mi soffermo sui giudizi politici sui Cinque Stelle e sui Governi Conte, che gli avvenimenti di questi giorni hanno pienamente confermato mettendo allo scoperto la vacuità del movimento e la buona dose di trasformismo esistente al suo interno.

Mi ha colpito invece la decisione presa da Pomicino e poi non portata avanti per la nomina di Draghi a Presidente del Consiglio, di fare un pubblico appello alla Massoneria come unica forza sopravvissuta tra quelle che avevano governato il Paese dopo la liberazione, per assumere un’iniziativa istituzionale volta a cercare di salvare l’Italia dalla deriva pericolosa nella quale era caduta e che, a suo giudizio, permane.

Crollati i Partiti, non restava, secondo Pomicino che appellarsi alle logge in attesa, chissà, di un nuovo Risorgimento. Perché la massoneria? Ha ancora un peso importante nel Paese? Sarebbe in condizione di intervenire efficacemente per invertire la rotta intrapresa?

Pomicino non lo dice. Ha pensato all’appello come ultima spiaggia, l’estremo tentativo di salvare il salvabile e riportare Parlamento e Governo in mani più esperte e affidabili.
Siamo stati ingannati? È ciò che sostiene l’ex Dc, Andreottiano non pentito. E’ chiaro che si tratta di un giudizio fortemente di parte, così come non è confutabile che fatti, numeri e decisioni alle quali fa riferimento fanno parte della storia della prima Repubblica e di quella zona grigia, ancora non del tutto chiarita, attraverso la quale nell’arco di pochi mesi cambiò tutto.
Con l’inganno? Pomicino ne è convinto e, sinceramente, qualche ragione sembra averla.

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