LA FORMA E LA SOSTANZA DELLA DEMOCRAZIA

LA FORMA E LA SOSTANZA DELLA DEMOCRAZIA

di Giuseppe Gullo

Non esiste un sistema perfetto che possa garantire il massimo rispetto dei Diritti dei cittadini, la selezione di una classe dirigente costituita dai migliori con qualità tali da agire politicamente, e cioè scegliere le soluzioni idonee a soddisfare i bisogni degli amministrati operando con criteri di obiettività, imparzialità e trasparenza. È utopia. Governare, come tutte le attività umane, è soggetta a errori, condizionamenti, compromessi, opportunità, vincoli interni ed internazionali. Occorre trovare soluzioni che possano avvicinarsi il più possibile agli obiettivi teorici ai quali occorre riferirsi per non fare piccolo cabotaggio e tirare a campare.
Con tutti i limiti che sono evidenti, il sistema democratico è quello che garantisce maggiormente il riconoscimento e l’attuazione dei diritti fondamentali dei cittadini, così come si sono teorizzati e in parte attuati dalla fine del XVIII secolo in poi. Non vi sono sistemi migliori, vi è anzi, purtroppo, una tendenza preoccupante a ridurre gli spazi di libertà e quindi dei diritti riconosciuti e garantiti, con costanti rigurgiti, se non apertamente reazionari, quanto meno nazionalisti al limite del revanscismo come sta, purtroppo, accadendo in questi giorni in varie parti del pianeta. La democrazia è migliorabile ma soprattutto deve essere salvaguardata per non essere svuotata e non diventare regime in senso deteriore in mano a pochi.
Il mondo è pieno di ingiustizie. Un vero democratico deve avere come obiettivo il loro superamento o quanto meno la riduzione. Non tutte le diseguaglianze sono uguali. La mancanza di cibo e di libertà non è paragonabile a un sistema sanitario poco efficiente o a una giustizia lenta e non uguale per tutti. Ciò corrisponde alla diversa graduazione dei bisogni materiali e immateriali secondo suddivisioni presenti in tutti i manuali, l’ABC della Democrazia.
Cos’è realmente un sistema democratico? Qual è oggi, nella realtà globalizzata e multimediale, la sostanza della Democrazia? Il discorso sui massimi sistemi è pieno di insidie. Bastano il suffragio universale e il voto libero e segreto per potere definire democratico uno Stato? A questa domanda, sia studiosi che cittadini di sicura e accertata fede democratica rispondono che essi sono requisiti necessari ma non sufficienti. Se fossero questi i soli parametri non si potrebbe negare né alla Cina né alla Russia di esserlo. Eppure in quei Paesi il dissenso viene represso, la stampa non è libera né lo sono i social e internet. I regimi al potere godono, si osserva, di un vasto consenso e il voto popolare, in linea di massima, non subisce coercizioni o limitazioni apparenti.
Peraltro è noto che regimi sicuramente anti democratici ebbero un vasto consenso popolare. Accadde al fascismo in Italia quando, dopo la conquista del potere con la marcia su Roma, favorita dalla connivenza del Re e dei suoi principali consiglieri, ebbe un vero e ampio consenso popolare anche in presenza di fatti di eccezionale gravità come il delitto Matteotti, le leggi razziali e la censura. Riferisco conoscenze personali sebbene non dirette, di giovani universitari per bene e alieni dalla violenza e dalla sopraffazione che credettero sinceramente, probabilmente indotti da una propaganda molto convincente, nei miti illusori del Duce e dell’Italia fascista fino al sacrificio della vita o della prigionia nei campi di concentramento tedeschi. Avvenne al Nazionalsocialismo, che vinse le elezioni in Germania nel 1933 e divenne in seguito il responsabile principale di milioni di morti nel corso della seconda guerra mondiale e della distruzione fisica e morale della Germania.
È necessario che insieme a libere elezioni con suffragio universale e voto libero e segreto siano garantite altre libertà fondamentali non negoziabili, quali quella d’opinione, di associazione, di sciopero, di eguaglianza di fronte alla legge. Anche in presenza di queste caratteristiche, c’è chi si chiede se può definirsi democratico un paese nel quale il 12% della popolazione vive in stato d’indigenza senza un lavoro stabile, una casa, acqua corrente, cibo sufficiente, immersa nella sporcizia e nella promiscuità. Accade oggi in America lo Stato, più ricco e progredito del mondo, che spende ogni anno per armamenti la cifra astronomica di 886 miliardi di dollari. In Italia spendiamo 28,9 miliardi di dollari per spese militari, in aumento rispetto agli anni precedenti, e secondo la Caritas, vi è il 24% della popolazione a rischio povertà ed esclusione sociale. Eppure nessuno, in buona fede, si sentirebbe di proporre di abbattere la spesa militare in una situazione come l’attuale nella quale la guerra è arrivata in Europa e nel vicino Oriente. Sarebbe già un risultato se nei prossimi anni essa non aumentasse e se l’esportazione di armi diminuisse dagli attuali 5,3 miliardi.
Fatte queste osservazioni di carattere generale, il problema di fondo resta interamente. Come migliorare la salute della Democrazia e nel contempo le condizioni di vita dei meno abbienti? Sul primo versante è urgente por mano alla riforma della legge elettorale riaffidando ai cittadini la possibilità di scegliere non solo il partito ma anche i candidati da portare nelle assemblee elettive. Se venisse fatta questa scelta, per la quale non è necessario un procedimento di revisione costituzionale, si potrebbe ottenere il duplice risultato positivo di riavvicinare gli elettori all’esercizio del diritto di voto e di migliorare la selezione della classe dirigente sottraendola, almeno in parte, alla volontà ad libitum del capo partito. La preannunciata riforma costituzionale per introdurre il premierato, se dovesse essere portata avanti come sembra, sarà un colpo mortale alle giuste aspettative di quanti hanno a cuore le sorti della nostra Democrazia giacché mina alla radice l’equilibrio tra i poteri disegnato dal Costituente creando la figura del Presidente del Consiglio, vero e proprio uomo forte eletto dal popolo.
Sul secondo aspetto vi sono contraddizioni evidenti che emergono agli occhi di chi osserva la società nella quale viviamo e ha interesse per l’andamento di alcuni parametri molto importanti. La nostra è una società opulenta nella quale in questo momento vi sono indici di occupazione molto elevati, vicini ai massimi, con una grande carenza di offerta di addetti in alcuni settori. Non vi sono medici in numero sufficiente e dobbiamo reclutarli all’estero, lo stesso discorso vale per il personale parasanitario specializzato, per ingegneri, chimici, matematici, fisici e laureati in materie scientifiche. Anche nel settore umanistico e nelle professioni tradizionali l’offerta non copre la domanda. Recentemente su 13.000 assunti nel comparto Giustizia, 3.000 si sono dimessi perché hanno trovato un lavoro migliore. Nella scuola è in corso un reclutamento massiccio a tempo indeterminato e nel nord est le piccole industrie hanno necessità di operai generici.
Eppure si parla di 24 milioni di persone su meno di 60 milioni che si trovano in stato di bisogno. C’è qualcosa che non è chiaro. Il miglioramento delle condizioni di vita di chi si trova in condizioni di bisogno, prevalentemente nelle periferie urbane e tra gli immigrati, richiede uno sforzo economico per il quale lo Stato non ha le risorse sufficienti che potrebbe trovare solo ricorrendo a nuovo debito oppure ad un’imposizione straordinaria e mirata che, per chiamarla col suo nome, significa patrimoniale. Il contrasto all’evasione, la riduzione delle spese dei Ministeri e degli Enti locali, la cancellazione dei così detti Enti inutili, sono tutti solo buoni propositi e tali resteranno. La patrimoniale non la vuole nessuno per l’ovvia considerazione che è impopolare.
D’altro canto in un Paese che ha una pressione fiscale al 43%, destinata a restare tale se non a aumentare, un prelievo forzoso orizzontale abbatterebbe i consumi, allontanerebbe gli investitori privati e darebbe il marchio dell’inaffidabilità ad un Paese che già non è ritenuto virtuoso in sede internazionale. Gli effetti positivi verrebbero vanificati in breve tempo e le conseguenze negative potrebbero essere maggiori dei benefici.  Nessun Governo interviene decisamente contro le spese parassitarie e improduttive che ammontano a cifre molto elevate e che mantengono un sottobosco che vive alle spalle dei contribuenti onesti. Bisognerebbe intervenire, forse e se possibile, sul 5% di popolazione che detiene metà della ricchezza e sulle grandi multinazionali che hanno profitti miliardari in paradisi fiscali. Non si farà nulla, probabilmente, e si andrà avanti come si è fatto fino ad oggi.
Ciò comporta che la tenuta del sistema è a rischio e che la combinazione-denatalità porterà il Paese in tempi non lunghi a rischio implosione. La storia insegna che dalle grandi crisi economiche nascono le dittature ed emergono i c.d. “uomini del destino” ai quali affidarsi inseguendo la chimera di potere così sistemare quello che solo la Politica e la Democrazia possono cercare di risolvere. I pericoli che corre la Democrazia stanno al proprio interno e cioè nella mancanza di capacità di capire il livello dei rischi e di non avere idea di come affrontarli. Occorre invece allargare la sfera dei diritti e parlarne con verità e responsabilità.
Non vi sono alternative praticabili al sistema democratico che non abbiano il costo elevatissimo e non sostenibile della riduzione degli spazi della libertà individuale e collettiva. Possiamo rischiare tanto?

 

Fonte foto: Wikimedia CommonsSailko – CC BY 3.0 Deed

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