La ‘questione meridionale’, un tema drammaticamente attuale
di Giovanni Mollica
Responsabile Nuovo Meridionalismo
Era facilmente prevedibile che le forze politiche italiane, in tutt’altre faccende affaccendate, non dimostrassero grande disponibilità a confrontarsi con Democrazia liberale su un problema del quale sono totalmente disinteressate.
É questa, infatti, l’unica conclusione da trarre dalle mancate risposte alla Nota, pubblicata la settimana scorsa, su quale possa essere il ruolo dell’Italia – e del Mezzogiorno, in particolare – in ambito europeo e mediterraneo.
Arenati da decenni sulla sterile immagine di un’Italia “ponte proteso nel cuore del Mediterraneo” e di una “Sicilia, hub logistico europeo” – formulette ormai noiose e stucchevoli in quanto prive di provvedimenti mirati a renderle effettive -, le forze politiche preferiscono polemizzare sulla nomina del Presidente della Repubblica piuttosto che confrontarsi sul futuro del Paese.
Del quale la Questione meridionale è parte fondamentale. Legittimando così il desiderio di Draghi di tirarsi fuori dalla palude degli interessi di bottega mirati ad arraffare quote sempre maggiori del PNRR, per rifugiarsi nella dorata quiete del Colle.
Sembra avverarsi, ancora una volta, l’amara profezia secondo la quale “Governare gli italiani non è impossibile: è inutile”. Possibile che non interessi a nessuno – nemmeno ai Governatori di quelle Regioni – che quasi un terzo dei cittadini italiani si posizioni agli ultimi posti della graduatoria di Eurostat relativa al Pil per capita? Con i calabresi scesi in 13 anni (nel 2018), di 32 posizioni – dal 235° al 267° su 323 regioni dell’Ue28 -, i siciliani di 37 (dal 225° al 262° posto), i campani di 32 (dal 224° al 256°) e così via. Sempre più in basso nella media europea.
Non è solo la prova del fallimento del Sud, ma dell’intero Paese.
Al contrario dei grandi e medi partiti, Democrazia liberale considera questo un tema drammaticamente attuale e indipendente da chi sarà il prossimo Capo dello Stato, da affrontare senza indugio. Nella speranza di poter rappresentare, per la democrazia italiana, quell’”intruso” di cui parla Angelo Panebianco nell’editoriale del 21 Gennaio di quest’anno, dove individua la differenza tra “buona” e “cattiva” politica nella capacità di equilibrare interessi a breve con quelli a medio e lungo termine.
Superfluo sottolineare che siamo d’accordo col politologo bolognese, uno dei pochi intellettuali capaci di fondere l’impostazione liberale col realismo indispensabile a dare concretezza all’azione di governo.
Non a caso, nella precedente Nota avevamo affrontato la questione in termini metodologici, sostenendo che è stata proprio la visione a medio e lungo termine dell’Ue a trasformare il tema delle disuguaglianze regionali in problema comune all’intero continente.
Proseguendo in tale percorso – che non è solo economico ma, soprattutto, politico -, non è difficile comprendere che sostenere che il Meridione è “una risorsa” e non “un freno alla crescita” è un’affermazione ipocrita se non è accompagnata da interventi coerenti, mirati a creare le condizioni per dare concretezza a enunciati che trasudano solo retorica.
Entrando a gamba tesa nel tema che ci compete, è noto a tutto il mondo da secoli che la Logistica – ieri sotto forma di assistenza alle carovaniere che passavano per Samarcanda, oggi nelle raffinate modalità utilizzate in Estremo Oriente e nel Nord Europa – è premessa indispensabile alla crescita di qualsiasi settore economico. Inclusi Agroalimentare Turismo che qualcuno ancora si ostina a considerare come unica speranza del Sud.
Proprio al fine di creare un Sistema logistico moderno nel Mezzogiorno d’Italia – integrandolo così nella Rete centrale (core) progettata vent’anni fa dall’Ue – è stata assegnata al Mezzogiorno d’Italia una rilevantissima quota del Recovery Plan, prontamente contestata da quei “poteri di veto” di cui parla Panebianco nel suo editoriale. Con lo scopo palese di stornare tali risorse a favore del consolidamento del modello di sviluppo – teoricamente e praticamente perdente – rappresentato dalla locomotiva di infausta memoria.
Che poi l’incapacità progettuale degli enti locali meridionali renda più arduo il percorso indicato dalla Commissione, è certamente vero ma non si tratta di un ostacolo insormontabile per chi tiene al Paese più che agli interessi delle lobby locali, nazionali e internazionali. Come tenteremo di spiegare nelle prossime Note, con o senza l’auspicato contributo delle altre forze politiche.