LE INTERCETTAZIONI TRA MAFIA E PRIVACY

LE INTERCETTAZIONI TRA MAFIA E PRIVACY

di Giuseppe Gullo

La notizia della cattura del super latitante Messina Denaro ha riempito di compiacimento e orgoglio l’opinione pubblica siciliana e nazionale. Com’è stato giustamente osservato è la vittoria dello Stato contro la delinquenza organizzata nelle sue forme più spietate. Le polemiche relative a presunte trattative tra Stato e mafia sono la ripetizione di dietrologie già sentite e smentite da sentenze pronunciate dall’autorità giudiziaria dopo anni di indagini e dibattimenti. Non illudiamoci, ci sarà sempre chi è convinto che all’arresto si sia giunti dopo laboriose contrattazioni di cui nessuno ha mai avuto prova o riscontro ma che i dietrologi danno per avvenute. E’ inevitabile e non serve cercare di portare argomenti convincenti. Sarebbe come nel caso di chi tenta, inutilmente, di sostenere con argomentazioni incontestabili che lo sbarco sulla luna ci fu discutendo con chi è convinto che tutto si sia svolto su un set televisivo segreto di FBI, CIA e NASA.

Mi sembra più producente soffermarsi sull’affermazione di uno dei protagonisti della cattura del secolo, il Procuratore Capo di Palermo. L’alto magistrato, giunto a dirigere la Procura della capitale siciliana solo poche settimane fa quando, con ogni probabilità, il cerchio per la cattura del latitante si stava chiudendo, ha colto l’occasione per dichiarare che le intercettazioni sono essenziali nella lotta alla mafia e lo sono state anche in questa circostanza. Sicuramente la polemica, neppure velata, è rivolta al Guardasigilli che ha recentemente posto il problema di arginare l’abuso delle intercettazioni e del loro abnorme uso.

Non è chiara, tuttavia, la ragione del rilievo. Il Ministro ha parlato dell’opportunità di rivedere la disciplina delle intercettazioni per rimediare a gravi “inconvenienti” che si sono manifestati in questi anni. Il ricorso continuo e incontrollato a questa forma d’indagine che costa alle casse dello Stato oltre 150 milioni di euro l’anno. Il Guardasigilli ha ribadito il concetto assolutamente condivisibile che l’intercettazione non costituisce la prova ma è uno strumento per arrivare alla formazione della prova che possa reggere al confronto in sede dibattimentale. Il superamento del diritto costituzionale alla riservatezza dei colloqui e delle comunicazioni trova giustificazione solo se ci sono preesistenti gravi indizi che consentano di ascoltare e filmare attività private e non il contrario, com’è spesso avvenuto. L’intercettazione deve essere limitata e utilizzata solo per fatti che hanno rilevanza penale in rapporto agli indagati. Il resto non può diventare di pubblico dominio rendendo noti fatti e comportamenti di persone estranee all’inchiesta che hanno diritto, come tutti, a essere completamente tutelati nella loro vita privata. Il pettegolezzo malsano che viene fuori dai contenuti delle intercettazioni è una pratica deteriore in aperta violazione della legge e dei diritti fondamentali del cittadino. Lo Stato di diritto, fondato sui principi della Democrazia liberale, non può consentire che sia istituzionalizzato il grande “orecchio” che tutto sente e tutto controlla. Se questo dovesse avvenire, verrebbe meno uno dei cardini sui quali si regge lo Stato democratico e potremmo arrivare a vivere in una società come quella descritta dal magnifico e angoscioso film ”La vita degli altri” o, in altri contesti, come coloro che prima di parlare di questioni delicate lasciano i cellulari in posti lontani e si spostano nei cortili o nelle trombe delle scale, come anche qualche giudice ha detto di avere fatto.

Chi ha letto le dichiarazioni dell’attuale Guardasigilli non può sinceramente avanzare dubbi sulla volontà di dare alle intercettazioni tutto il sostegno e i mezzi per essere utilizzati in modo producente allo sviluppo dell’indagine e alla formazione della prova. Non hai mai fatto riferimento a restrizioni per indagini di mafia e/o di delinquenza organizzata.

Su questo argomento, sebbene proveniente da tutt’altro ambito, mi ha molto colpito l’intervento televisivo del dr. Carofiglio, il quale ha sostenuto che con ogni probabilità il Ministro Nordio non conosce l’attuale disciplina delle intercettazioni essendo stato posto in quiescenza nel 2017 prima che essa fosse emanata. Carofiglio oltre ad essere uno scrittore di successo di libri gialli, è un ex magistrato inquirente e anche un ex Senatore eletto nelle liste PD. L’affermazione che un suo ex collega PM, Ministro in carica di Grazia e Giustizia, ignori una legge così importante sulla quale dichiara di volere intervenire per modificarla, è veramente un’enormità. Il noto giallista non segue le cronache piene di notizie ricavate da intercettazioni che riguardano il signor Tizio, non indagato, che ha trascorso due notti in albergo con una donna che non era sua moglie, o il sig. Caio, indagato, che parlando con una giornalista a proposito del sig. Sempronio, estraneo all’inchiesta riferisce che a quest’ultimo piacciono i maschi? Forse Carofiglio non ha il tempo per farlo tenuto conto della molteplice attività svolta. I casi di notizie estranee alle inchieste pubblicate solo per soddisfare la “curiosità” dei lettori sono centinaia, con il risultato di infangare persone che nulla hanno a che vedere con l’indagine e la cui colpa è stata quella di incrociare chi era sottoposto a controllo.

Le norme vanno applicate sempre e senza eccezione non per modo di dire ma seriamente, e questo, spesso, purtroppo non accade.

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