QUESTA LEGGE ELETTORALE, CANCRO DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA

QUESTA LEGGE ELETTORALE, CANCRO DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA

di Giuseppe Gullo

Cosa accade nel nostro Paese ? Quali meccanismi si sono messi in movimento in un modo che sembra irreversibile, tali da portare, nel volgere  di una legislatura, a cambiamenti profondi e significativi che non hanno precedenti  nella storia repubblicana? Che cosa induce l’elettorato, per decenni stabile o comunque scarsamente mobile, a dare improvvisamente segnali così importanti di cambiamento? Quali sono le ragioni per le quali il Paese europeo con la maggiore percentuale di votanti nelle elezioni politiche si sta allineando alle cifre basse, ben inferiori al 50%, dei maggiori Paesi europei e degli Usa? Qual è il “cancro” che mina la nostra democrazia?
Domande molto complesse alle quali non è facile dare risposte esaurienti e convincenti. Chi si occupa di analisi politica, tuttavia, deve cercare di farlo sapendo che l’approccio non può essere temporalmente ancorato ai risultati del 2018 e del 2022. La risposta che verrebbe di dare semplicisticamente è che,  essendo mutati i rapporti sociali, le comunicazioni, l’economia, tutto in sostanza, perché mai non sarebbe dovuto cambiare l’elettorato e il modo di rapportarsi alla politica e alla sua rappresentatività? Per quale ragione il cittadino – che è “connesso” tutto il giorno, che apprende le notizie in tempo reale, che vede davanti a sé scorrere continuamente immagini che sono la realtà e che pure sono altro da sé, mentre la sua vita scorre secondo canoni in qualche modo scontati e prevedibili –  dovrebbe ancora credere nella politica e in coloro che la interpretano? Sono scomparse tutte le occasioni d’incontro e di contatto, i luoghi tradizionali di partecipazione o ritenuti tali, le sezioni di partito, i circoli, i comizi e la divaricazione tra i protagonisti e il pubblico di cittadini-elettori è aumentata fino a diventare una rappresentazione, lontana quasi metafisica, che si svolge in un luogo e in un tempo indefinito e indistinto nel quale gli stessi volti di chi parla o “recita” sono anonimi come maschere.
C’è del vero in tutto questo ed è  un effetto del tempo che viviamo, ma non spiega un fenomeno di così grande importanza che impone una profonda riflessione sul modo stesso di essere di una democrazia  nel terzo millennio. Una democrazia, in cui una minoranza è quella che sceglie e decide, è malata e, alla lunga, potrebbe crollare come un castello di sabbia. Perché l’elettorato italiano che dal secondo dopoguerra fino alla fine degli anni 80 del novecento aveva votato secondo uno schema talmente ripetitivo da sembrare scontato, dai primi anni novanta ha cambiato strada e modo di manifestare la sua volontà?
Una risposta possibile è che la cesura traumatica, non rimarginata, è stata l’abbattimento dei partiti per via giudiziaria, con le eccezioni che conosciamo. La distruzione di tutta la classe dirigente di Governo che aveva retto le sorti del Paese fino a quel momento è stata nella sostanza l’azzeramento di tutta la cultura politica e manageriale del Paese e della stessa capacità di essere all’altezza del compito al quale la Politica era chiamata. Il danno di portata storica non è stato tanto o solo quello arrecato ai singoli esponenti e/o alle organizzazioni che essi rappresentavano, quanto piuttosto la terra bruciata creata dall’incapacità di una classe dirigente di terze o quarte file, impreparata e inadeguata, di scegliere, di governare e di fare Politica.
Personaggi che mai avrebbero potuto aspirare ad essere protagonisti nel Governo del Paese, e che probabilmente neppure pensavano di poterlo fare, sono stati proiettati in una dimensione nella quale non erano in grado di  operare e per la quale non erano adeguatamente preparati. Anche le organizzazioni solo sfiorate dal sisma distruttivo, come i sindacati, hanno cambiato pelle in senso negativo perdendo rappresentatività e incidenza nei processi produttivi e sociali.  Non giova fare nomi. Chi conosce la storia della politica italiana dell’ultimo trentennio sa di cosa parlo, conosce quanto è avvenuto e riesce a spiegarsi fenomeni altrimenti oscuri come la nascita e l’esplosione di Forza Italia, la fine del MSI fino al successo di FdI, la fine del PCI e le tappe che hanno portato alla nascita del PD e oggi, forse, a quella di un moderno Partito socialdemocratico, e anche la crescita  del populismo qualunquistico astioso e tendenzialmente opportunista e parassitario.
Tutti sapevamo che all’interno dei Partiti storici di Governo e di opposizione vi erano zone d’ombra, nelle quali prosperavano affari e circolavano molti soldi, parte dei quali arrivavano alle organizzazione partitiche. Alcuni grandi scandali incentrati sul binomio politica-affari si erano scoperti molti anni prima del ‘92. Il caso del Banco Ambrosiano, la vicenda Sindona e il caffè avvelenato, il caso Lockeed che arrivò a toccare il Quirinale , il caso Cefis, la vicenda Mattei, per citarne solo alcuni, ma mai il rapporto fiduciario tra elettori e Partiti era stato messo in discussione né si era mai teorizzato che il “sistema” fosse marcio e dovesse essere abbattuto. Lo stesso PCI e il suo Segretario, quando parlavano e teorizzavano la loro “diversità”, lo facevano dall’interno delle Istituzioni mentre continuavano a prendere, in un modo o nell’altro, finanziamenti dall’URSS e dalla Lega delle cooperative.
Da lì è necessario partire per capire e per rimediare. Servono decenni per creare e selezionare una nuova classe dirigente e occorrono “luoghi e palestre” dove formarle, e i partiti lo erano. Oggi cosa li sostituisce? I talk show? Il Grande Fratello? Fedez e moglie? Il vaffa day? La deriva è pericolosa e potrebbe portare a credere che la salvezza possa venire ancora una volta dal un occasionale Uomo della Provvidenza. Mi auguro di sbagliarmi e di vedere ombre dove non c’è sole.    Alcuni rimedi tecnici, suggeriti da illustri costituzionalisti, sono necessari e ormai maturi come il voto telematico, ma non sono, a mio avviso, risolutivi. Né credo che il problema sia solo quello di creare un nuovo sentimento di dovere civico o di introdurre sanzioni per chi non vota o premi per chi lo fa. No, la questione di fondo è il rapporto cittadino-politica, la percezione dell’utilità del voto e del suo fondamentale ruolo nella scelta di chi ci dovrà governare.
E’ da qui che bisogna partire, e quindi dalla legge elettorale che è lo strumento per scegliere chi dovrà rappresentare gli elettori e governare il Paese.

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