UNO, NESSUNO E CENTOMILA

UNO, NESSUNO E CENTOMILA

di Giuseppe Buttà

In un ‘comizio’ alla Camera, il 1 febbraio di quest’anno, il ‘fratello d’Italia’ Donzelli ha avanzato un sospetto sugli atteggiamenti assunti da alcuni esponenti del PD riguardo alla vicenda Cospito. Il PD ha fatto sapere che presenterà – non sappiamo se lo abbia realmente fatto – «querele e richiesta di risarcimento danni» nei confronti del sottosegretario Delmastro e di Donzelli per le affermazioni «ripetutamente effettuate dagli stessi in diversi contesti, diffamanti e lesive della onorabilità dei parlamentari PD e gravemente offensive della storia e dell’impegno di una forza politica che ha avuto e continua ad avere come proprio valore fondante la lotta alla criminalità organizzata e a ogni forma di terrorismo. Siamo certi che i due parlamentari si assumeranno la responsabilità delle loro gravi affermazioni senza nascondersi dietro l’immunità parlamentare».

Enrico Letta ha aggiunto: «I nostri deputati sono sotto un deliberato linciaggio da parte di deputati di FdI che risponderanno delle loro calunnie nelle sedi opportune»; con lui è riapparsa pure Sandra Zampa: «Delmastro e Donzelli sono chiamati a rispondere in Tribunale delle parole diffamatorie e false contro la comunità dem. Per coprire le proprie responsabilità offendono e mentono».

Il senatore Misiani si è mostrato più feroce dichiarando su Twitter: «C’è una sola espressione possibile per definire l’attacco a testa bassa contro l’opposizione di Donzelli, Delmastro e dei loro camerati di Fratelli d’Italia: squadrismo fascista». A lui si è accodato con perfetto tempismo il senatore Alfredo Bazoli che ha scritto: «È caduta la maschera. Atro che destra moderna, sono e restano fascisti», mentre Arturo Scotto, ex scissionista di Articolo Uno ma non ex comunista, è andato giù ancora più duro e con ancora maggiore cultura storica: «Mai visto un partito al potere invocare le dimissioni di parlamentari d’opposizione, accostandoli a mafia e terrorismo. C’è solo un precedente: il ventennio. Quando i fascisti usavano manganello e olio di ricino. Fdi si comporta come erede legittimo. Oggi a parole, domani chissà».

L’unico pdino che, ahimè, dovrà però rimanere a becco asciutto dall’atteso risarcimento dei danni, sarà il povero Andrea Orlando, l’ex ministro della giustizia che ha avuto come suo degno successore nientedimeno che Alfonso Bonafede. Pare infatti che egli personalmente non possa presentare querela contro i ‘diffamatori’ Delmastro e Donzelli perché rischierebbe di perdere la causa: egli ha infatti dato il seguente consiglio ‘disinteressato’ al ministro Nordio: «lo Stato che non tratta, la richiesta a non farsi intimorire, sono cose che non hanno nulla a che vedere con la riconsiderazione del provvedimento amministrativo del 41 bis». Poi, ipotizzando la possibilità di revocare a Cospito un tale regime, per essere più chiaro Orlando ha aggiunto: «Lo Stato non deve trattare con nessuno. Deve applicare i principi dello Stato di diritto sempre, senza farsi condizionare da nessuno. Se deroga a questo i suoi avversari hanno vinto».

Se non capisco male, secondo Orlando lo Stato non deve trattare ma deve invece cedere a chi chiede – come fa lui stesso – che il provvedimento d’isolamento, chiesto a suo tempo dalla procura competente e adottato dal ministro Cartabia, venga revocato a Cospito: solo così lo Stato potrà restare ‘fedele’ alla sua natura di stato di diritto.

È sicuramente per questa chiarezza d’idee sullo stato di diritto che, all’epoca, Orlando venne mandato a presidiare via Arenula: la sua interpretazione, ‘evolutiva’, dello stato di diritto passerà alla storia della scienza giuridica.

Per non infierire, non ricorderò che Orlando, da ministro della giustizia negò la revoca del 41 bis al morente Provenzano, il boss mafioso divenuto incapace di intendere e di volere e, ormai, in fin di vita. Allora, per questo suo gesto di fermezza, meritò l’applauso di tutti.

Ora Orlando cerca di costruirsi un alibi giocando con le date: «non è vero, l’ho scritto solo il 7 gennaio e non il 12», cioè dopo la gita a Sassari. Il suo partito, con nota ufficiale, ha tentato di confermargli l’alibi: «Non risulta assolutamente fondato che Andrea Orlando abbia fatto il tweet uscendo dal carcere dove era andato con altri parlamentari del PD a verificare le condizioni di salute di Alfredo Cospito, in sciopero della fame da ottobre. Il tweet a cui si fa riferimento, quello in cui si dice “Mi auguro che il ministro Nordio raccolga l’appello di giuristi ed intellettuali per la revoca del 41 bis a Cospito”, è datato 7 gennaio. La visita in carcere a Sassari è avvenuta dopo, il 12 gennaio. E subito dopo la visita, Orlando ha fatto un’intervista a ‘Il Manifesto’ in cui ha dichiarato che il regime di 41 bis non andava bene per Cospito viste le sue condizioni di salute, ma il 41-bis per la mafia è essenziale».

È essenziale, s’intende, anche se i mafiosi detenuti fossero moribondi per sciopero della fame.

Dunque è una questione di date, non di sostanza. Ma la buona volontà della segreteria del partito non è bastata per confermare l’alibi: infatti, questo è smentito dalle date dei vari ‘twitt’ di Orlando, ex tetragono ministro della giustizia: 7 gennaio: «Mi auguro che il ministro Nordio raccolga l’appello di giuristi ed intellettuali per la revoca del 41 bis a Cospito»; 30 gennaio: in risposta a Bobo Craxi, che si strappava i capelli per Cospito, Orlando ha ‘cinguettato’: «È urgente trasferire Cospito e revocare il 41 bis. Non si possono usare gli atti intimidatori come un alibi. Legare il 41 bis ad una sorta di ritorsione significa fare il gioco di chi nega alla radice l’esistenza dello Stato di diritto e per questo giustifica l’uso della violenza»; 31 gennaio: «Ho detto in tutti i modi che il 41 bis va revocato proprio in ossequio allo stato di diritto».

Orlando non è il solo membro del PD a sostenere questa tesi: l’hanno fatto anche sommi vertici della segreteria del partito. Infatti, il vice segretario Giuseppe Provenzano ha scritto il 30 gennaio: «Lo Stato non scende a patti coi violenti, dicono dal Governo, e ci mancherebbe! Solo che la revoca del 41bis a Cospito è invocata non in nome delle idee di Cospito o delle proteste degli anarchici. Ma in nome dello Stato di diritto, della Costituzione. Il ‘garantista’ Nordio dov’è?»

Per tornare al comizio di Donzelli, bisognerebbe dunque riconoscere che la domanda, sia pure mal formulata e posta in toni sgarbati, era stata suggerita al novello e maldestro Catone da alcuni titolati uomini del PD che, con la visita a Cospito e le connesse superiori dichiarazioni, avevano cercato di mettere in difficoltà il governo lasciandolo solo nell’ingrato ruolo di carceriere.

Stando così le cose non si può non concludere che il PD – o almeno alcuni dei suoi principali esponenti – potesse volere appropriarsi del ‘martirio’ di Cospito che fa lo sciopero della fame per ottenere l’abolizione del 41 bis. Per tutti: anche per i suoi vicini di cella!

Non avrebbe fatto meglio il PD a intestarsi, a viso aperto, la causa della revisione del 41 bis, visti i dubbi sulla sua costituzionalità sollevati da valenti giuristi e magistrati?

Per esempio, Alfonso Sabella, che è uno dei beniamini dei talk show televisivi ‘d’area’, ha dato man forte a questa tesi e si è sfogato dicendo che, «se il 41 bis viene usato per ottenere confessioni, allora è una tortura» e ha messo in dubbio che questa misura venga usata correttamente. Ma una domanda sorge spontanea: anzitutto chi lo usa scorrettamente se non i suoi colleghi che chiedono l’applicazione di questa misura? E, poi, è sempre una tortura se il 41 bis viene usato per convincere il detenuto a ‘pentirsi’ e a collaborare promettendo i benefici di legge?

Sabella ha avuto il conforto solidale di un altro ex collega ancora più famoso, Gherardo Colombo: il quale, sempre in tv, si è esibito in un contorto e oscuro ragionamento sul 41 bis e su un possibile ammorbidimento del regime di carcere duro al quale sono sottoposti terroristi e mafiosi: «Secondo me, se non fosse scoppiato il caso di Alfredo Cospito, probabilmente sarebbe stato un pochino meno difficile riuscire a modificare in maniera diversa l’articolo 41 bis. Adesso è stato veramente motivo di scontro politico, uno scontro a livello molto, molto elevato. Sarebbe stato più facile dimensionare in modo diverso il 41 bis, cioè modificarlo un po’. La questione è venuta allo scoperto adesso per il grande pubblico, però se ne sta parlando da tempo. La Corte Costituzionale sta facendo dei passi importanti a proposito dei temi al confine con il 41 bis, vedi l’ergastolo ostativo. Io sono convinto che sarebbe stato più facile senza tutto ciò».

Qui, il buon Colombo ha inteso dare una stilettata al governo ‘repressivo’ il quale, con il decreto del novembre scorso, ha stabilito che ai detenuti per una serie di delitti (tra cui i delitti ex art. 416-bis e 416-ter possono) essere concessi benefìci penitenziari anche “in assenza di collaborazione con la giustizia” purché, tra le altre condizioni, siano allegati anche “elementi specifici, diversi e ulteriori (…) che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi”. Secondo Colombo anche questa norma sarebbe incostituzionale perché scaricherebbe l’onere della prova sul detenuto.

Insomma, anche per Colombo il garbuglio politico, che si è sempre più aggrovigliato in seguito allo sciopero della fame di Cospito, sta impedendo una revisione del 41 bis per mettere fine a quella che sarebbe, a suo dire, una paurosa violenza perpetrata da una legge incostituzionale. S’intende che però, e sempre a suo avviso, il 41 bis può essere mantenuto solo per i mafiosi ma non per i detenuti diversamente pericolosi! Forse l’ex giudice Colombo ha dimenticato che, in Costituzione, viene proclamato il principio di eguaglianza!

Ma, dobbiamo ammettere che questo can-can può servire al PD per trovare finalmente la più perfetta definizione della nuova identità che sta disperatamente cercando: Uno, nessuno e centomila.

E forse c’è riuscito con il coro mediatico che ha accompagnato la campagna feroce contro Donzelli, Delmastro, Nordio e Meloni e che ha trovato una solista elegante e raffinata in Ginevra Bompiani la quale – in un ‘salotto’ televisivo tra i più celebri per faziosità – dopo avere detto, quasi in ‘trance’, che Donzelli ha «pisciato fuori dal vaso», ci ha manifestato il suo mao-tse-tung-pensiero: «Giorgia Meloni fin dal primo giorno si è creata il popolo dei nemici: prima gli studenti, poi i ragazzi che vanno ai rave e adesso i nemici perfetti, ideali, che sono gli anarchici, quindi non li difende nessuno, nemmeno la sinistra».

Eh già, forse la Bompiani si è ricordata, in un momento di coscienza, che fu appunto la ‘sinistra’, furono i comunisti spagnoli stalinisti – agli ordini di un illustre comunista italiano, fedelissimo di Stalin – a mettere la pietra tombale sugli anarchici che si erano battuti al loro fianco contro Francisco Franco.

Massimo Giannini, il direttore della ‘Stampa’, commentando da par suo l’allarme lanciato da Meloni per le minacce di attacco allo Stato con i recenti attentati a consolati e caserme attribuiti a gruppi anarchici, ha evocato la ‘strategia della tensione’ e ha detto che «più alimentiamo questa sensazione di stato d’assedio e più sembra che la vogliamo sollecitare. C’è una strategia della tensione dietro questo modo di affrontare il caso?»

Il dubbio sollevato da Giannini è gravissimo: il governo soffia sul fuoco; se fosse fondato, significherebbe che abbiamo un governo che fomenta il disordine e l’eversione. Ma, se il dubbio di Giannini fosse infondato, allora dovremmo chiederci il perché di questa accusa: forse egli vuole giustificare preventivamente la contiguità con ogni tipo di protesta all’insegna del «resistere, resistere, resistere»? forse Giannini vuole egli stesso dirigere una ‘strategia’ di guerriglia mediatica permanente contro il governo, per esempio lanciando notizie allarmanti, e infondate, come quella della pedagogia del ‘tiro a segno’, oppure inondandoci di immagini ‘costituzionaliste’, patriottiche, resistenziali, omofedeziste, etc. come quelle che ci ha offerto il festival di Sanremo, più elettorale che canzonettaro e affollato di guitti noiosamente sviolinanti e di ‘influencer’, colti, intelligenti e ben pagati?

Intanto, il sottosegretario Delmastro è finito nel tritacarne giudiziario. Il colmo però è che, mentre la Procura di Roma lo indaga per violazione del segreto d’ufficio, la notizia dell’avviso di garanzia, prima di raggiungere il destinatario, è stata recapitata a qualche solito giornale e a qualche solita rete televisiva.

Ci sarà mai un’indagine, che non finisca nel nulla, per violazione del segreto istruttorio?

Avevamo capito l’antifona il giorno stesso del dibattito in Parlamento sulla fiducia al governo Meloni: da quel giorno, nessuno ha dubitato che presto si sarebbe tornati al clima che segnò la prima fase della ‘seconda repubblica’; si sarebbe data la stura a tutto l’armamentario della delegittimazione e della ‘resistenza’: dall’‘autunno caldo’ agli scioperi generali, dalle occupazioni di scuole e università ai ‘girotondi’, dalla mobilitazione dei percettori del ‘reddito’ alle ‘marce della pace’, dall’accusa al governo di perseguire una ‘strategia della tensione’ alla mobilitazione delle procure.

Non so fino a che punto si possa battere il governo portandolo in pretura e scaricandogli addosso, a palle incatenate, l’accusa di fascismo e di squadrismo e attaccandolo anche perché cerca di porre un argine al dissesto dei conti pubblici provocato dal ‘bonus’ del 110% e di sistemare l’assistenza ai bisognosi su un piano meno inclinato di quello su cui poggia il ‘reddito di cittadinanza’.

I recenti risultati delle elezioni regionali in Lazio e Lombardia dovrebbero convincere il PD a seguire un strategia diversa e a proporre programmi che gli elettori possano capire e gradire anziché impiccarsi all’albero lgbtq+, come pare stia facendo con la scelta del nuovo segretario.

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