25 SETTEMBRE, COME ANDRÀ A FINIRE?

25 SETTEMBRE, COME ANDRÀ A FINIRE?

di Giuseppe Gullo

In una campagna elettorale in cui tutto si gioca sugli slogan e sulle polemiche spicciole, che prendono spunto da una dichiarazione più o meno incauta di questo o quel capo partito, e nella quale i grandi temi che richiedono scelte urgenti e coraggiose restano in ombra, ha fatto scalpore la dichiarazione di Calenda che ha parlato della possibilità di un governo di larghe intese per il dopo Draghi di cui faccia parte il partito che viene pronosticato da tutti come quello di maggioranza relativa. E’ successo il finimondo con il segretario del PD che ha denunciato un presunto tradimento e un’apertura a destra quasi come fosse un peccato mortale.

Letta sembra dimenticare che il suo partito ha fatto parte per metà legislatura di una maggioranza alla quale partecipavano due componenti dell’alleanza di destra, Lega e Forza Italia, e che gli stessi Democratici auspicano la prosecuzione dell’esperienza del Governo Draghi, ovviamente con gli aggiustamenti che i risultati elettorali consiglieranno. Gli scenari post voto peraltro sono abbastanza limitati se si riflette seriamente sulle questioni che ci stanno davanti.

Il primo, che al momento sembra il più probabile, è un Governo della coalizione di destra che, se i sondaggi saranno confermati dal voto, avrebbe un’ampia maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Diverso, sebbene altrettanto importante,è il ragionamento sulla capacità di una tale maggioranza di avere la qualità e la coesione per affrontare i grandi problemi che incombono. Anche su questo le riflessioni non possono che essere del tutto teoriche considerato che moltissimo dipenderà dai rapporti di forza post elettorali dei partiti che formano la coalizione.

Se gli attuali sondaggi dovessero essere confermati, FdI avrebbe 10/13 punti più della Lega e 17/18 più di Forza Italia con l’ovvia conseguenza che il peso e la responsabilità maggiori del nuovo Governo ricadrebbero sul partito di Meloni. Nella Lega, che vedrebbe ridotto il suo consenso di circa 6 punti, si aprirebbe la questione della leadership  guidata dai Governatori che vedrebbero insidiato il loro potere dai cugini concorrenti. Il sondaggio secondo il quale FdI ha doppiato la Lega in Veneto non fa dormire sonni tranquilli a Zaia & C. Questo creerebbe tensioni e instabilità all’interno del Governo con la conseguente e inevitabile difficoltà dell’esecutivo di assumere le decisioni che la situazione molto delicata del Paese richiederebbe. Forza Italia diventerebbe un alleato marginale, non in grado di rappresentare l’ala moderata della coalizione, sostanzialmente ininfluente e destinata a scomparire nell’arco di un breve tempo. Lo scenario descritto sarebbe ben presente a Meloni la quale, vinte le elezioni, potrebbe avere interesse a non imbarcarsi in una navigazione solitaria in un mare insidioso senza conoscere le rotte di sicurezza e senza essere aiutata da timonieri in grado di affrontare i marosi.

L’altra possibilità è che la destra vinca senza numeri larghi, pur conseguendo la maggioranza assoluta. Se così fosse, sarebbe impensabile che possa governare da sola in un contesto nel quale vi sono almeno tre emergenze eccezionali: la crisi energetica ed economica con l’inflazione che corre verso la doppia cifra, la guerra in Ucraina e la pandemia.  Una maggioranza risicata potrebbe affrontare un simile impatto? Credo che la stessa Meloni sarebbe molto cauta al riguardo, e lo sarebbe certamente il Presidente della Repubblica, che non potrebbe e non vorrebbe ignorare l’esito del voto, ma non si sottrarrebbe ad esercitare pienamente i poteri che gli conferisce la Costituzione nella formazione del nuovo esecutivo.

E’ chiaro che parlando di scenari del tutto eventuali non è possibile tenere conto di dati che non si conoscono e che, da oggi al voto, possono cambiare anche sostanzialmente. Per comodità di analisi e per avere riferimenti in qualche modo credibili, facciamo riferimento alle previsioni attuali degli istituti che propongono le intenzioni di voto. Il PD, secondo Partito, sarebbe di poco sopra al 20%, sostanzialmente perdente e con una rappresentanza parlamentare ridotta a causa di quello che ha dovuto o voluto riconoscere agli alleati. Se la percentuale fosse questa, intorno al 20, con ogni probabilità si aprirebbe un problema di guida politica nella quale il peso degli amministratori locali, Bonaccini in primis, sarebbe rilevante e probabilmente vincente. I capi corrente prenderebbero subito atto che la richiamata in servizio di Letta in esilio volontario a Parigi senza aver neppure rinnovato la tessera del partito non aveva dato i risultati sperati.

I democratici sarebbero costretti, con ogni probabilità, a fare i conti esplicitamente con scelte che non hanno voluto fare e con revisioni profonde della loro storia sempre rinviate. Potrebbero venir fuori grandi novità di segno positivo o negativo a seconda delle scelte che un congresso straordinario di vera rifondazione dovesse decidere di fare. L’ipotesi di un collegamento organico con i 5S sarebbe esiziale. Quel movimento non ha futuro perché non ha storia, non ha idee, non ha proposte e si fonda su un populismo astioso senza retroterra. I risultati elettorali che vengono preannunziati vedrebbero comunque i pentastellati come i grandi sconfitti poiché perderebbero almeno i due terzi dei consensi e, dopo le elezioni, rischierebbero una diaspora ulteriore. La strada per il PD, in un simile contesto, potrebbe essere quella di promuovere la nascita di un grande Partito del Lavoro e dei diritti con una classe dirigente fortemente rinnovata, aperta alle novità senza antagonismi e senza pregiudizi. Di questo progetto potrebbe far parte la base dei 5S e non i dirigenti che hanno rinnegato nei comportamenti tutto quanto avevano affermato di volere fare.

Il destino delle forze intermedie è legato all’esito del voto. Un risultato vicino al 10% creerebbe le condizioni di cui parla Calenda, per nulla a sproposito, ponendo il problema serio di un Governo di larghe intese per affrontare le emergenze di cui abbiamo detto, nel segno della quasi-continuità con quello uscente. Un risultato vicino al 5%, invece, sancirebbe la fine di quell’ipotesi e riporterebbe la situazione allo stato iniziale.

Ragionare su intenzioni di voto è come muoversi sulle sabbie mobili ma, in questo caso, chi cerca di capirci qualcosa ha il vantaggio di non rischiare di essere inghiottito. Al massimo, si potrà dire, ex post, che non ha capito proprio nulla!

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