E SE FOSSI NATO E CRESCIUTO NELLA STRISCIA DI GAZA…

E SE FOSSI NATO E CRESCIUTO NELLA STRISCIA DI GAZA…

di Giuseppe Gullo

Se fossi nato nella striscia di Gaza quale sarebbe oggi la mia sorte ? Quale il mio comportamento se fossi nato e cresciuto in un campo profughi? Le domande che si pone e che rivolge anche ai suoi lettori un teologo cattolico “eretico”, qual è il Prof Vito Mancuso, mi tornano continuamente in mente ancora di più ogni volta che leggo o vedo scene di orribili violenze provenienti da entrambe i popoli in guerra. Avverto una grande difficoltà davanti alla mia coscienza di uomo occidentale cresciuto, per caso e per fortuna, in un Paese relativamente ricco nel quale, dal secondo dopoguerra ad oggi ,vi è stato un lungo e ininterrotto periodo di pace.
Chi aggredisce e uccide persone inermi è dalla parte del torto, senza alcun dubbio e senza che questa azione possa in alcun modo trovare giustificazione plausibile. E’ un dato di fatto, un principio incontrovertibile rispetto al quale ogni giustificazione, per quanto fondata, rappresenta un cedimento rispetto ad una posizione di principio che condanna l’uso premeditato della forza in violazione dei principi universali di rispetto dell’integrità della vita umana e del diritto internazionale, se ancora esiste.
Tuttavia queste affermazioni non rispondono alla domanda iniziale che resta intatta nella sua drammaticità. Non è facile perfino immaginare cosa significhi nascere e crescere in un campo profughi, privati quasi di tutto e soprattutto del bene più grande di cui ognuno di noi dispone: la Libertà. Da questo punto di vista, fondamentale, le guerre scatenate dalla Russia contro l’Ucraina e quella di Hamas contro Israele sono molto diverse. La Russia ha invaso un Paese sovrano costituito da una popolazione in parte russofona e a essa vicina per cultura, religione e tradizione, ma l’ha fatto esclusivamente per soddisfare mire espansionistiche e tentare di ricostituire il regime imploso quarant’anni fa. Hamas ha colpito il Paese che ritiene occupi illegittimamente i territori che appartengono ai Palestinesi e che in oltre settant’anni ha progressivamente occupato zone sempre più ampie delle loro terre estromettendo e piegando le popolazioni indigene. La Russia cerca di limitare la libera autodeterminazione degli Ucraini, mentre Hamas ne rivendica il diritto di fronte all’inerzia dell’ONU e delle grandi potenze. Questa differenza sostanziale non consente tuttavia di condannare Mosca e assolvere Hamas. Debbono essere condannati entrambi risolutamente.
Resta intatta la questione che gli interrogativi pongono a ognuno di noi e all’intera collettività  ai quali, colpevolmente, in tre quarti di  secolo, l’Occidente  non  ha potuto o voluto dare risposta per via diplomatica. Oriana Fallaci e Giovanni Sartori hanno sostenuto che l’incompatibilità con i Paesi islamici è totale e insuperabile. La giornalista e scrittrice fiorentina ha pubblicato numerosi libri al riguardo per il cui contenuto è stata processata in vari Stati. “Il nemico è in casa” è stata la sua tesi, radicale ma che i fatti sembrano in parte confermare. Sartori, da par suo, individua fondamentali differenze sul modo di intendere il diritto e l’uso delle armi per fini religiosi pe conclude che la possibilità di integrazione è nulla, come dimostra tutto il passato. Entrambi non indicano alcuna alternativa se non quella di lasciare quelle popolazioni nei loro Paesi d’origine e impedire che arrivino in Occidente.
Ammesso che questi ragionamenti siano fondati, nel caso di Israele e Palestina è accaduto il contrario. E allora? Gianni Badget Bozzo, cattolico e politico lungimirante, individuava nel declino dell’Occidente e nella crescita anche demografica dell’Islam una delle cause che avrebbe potuto scatenare conflitti sempre più estesi. Fatto è che la possibilità di convivenza tra Occidente e Islam è sempre più difficile senza che siano state assunte iniziative serie per risolvere alcuni dei nodi più intricati e letteralmente esplosivi sulla scena mondiale. Ecco che tutte queste condizioni messe insieme determinano l’esplosione della violenza. Un popolo o la sua maggioranza che vive in una condizione di semi schiavitù, senza prospettiva se non quella di un’esistenza misera e senza speranza, che vede i suoi figli privi del necessario e che per tutto questo non ha paura di morire, pensa a una cosa soltanto:  distruggere chi ritiene responsabile di questa condizione.
Anche se va detto che i palestinesi sono anch’essi direttamente responsabili dell’arretratezza economica e civile in cui hanno tuttora vivono, avendo lasciato che il deserto continuasse a circondare i loro insediamenti e invece coltivando “mito del ritorno”, mentre gli israeliani hanno trasformato quelle stesse terre in un giardino i cui frutti arricchiscono anche le nostre tavole. E va anche detto che gli ingenti fondi della solidarietà araba e occidentale sono finiti in armi piuttosto che in infrastrutture civili e produttive.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, molti soldati e ufficiali italiani dopo l’8 settembre vennero imprigionati dai tedeschi e portati in campi di concentramento in Germania. Molti non tornarono sopraffatti dagli stenti e dal gelo. Chi si è salvato ha portato per tutta la vita il peso gravosissimo fisico e psichico di quanto ha visto e subito. Uno di loro scrisse a un parente che non sapeva se augurarsi di essere tra coloro che venivano prelevati all’alba e di cui non si avevano più notizie o invece continuare il calvario senza sapere cosa sarebbe potuto accadere il giorno dopo. Concludeva amaramente che la vita non aveva alcun valore e che pensava alla morte come alla liberazione. Fu fortunato e riuscì a sopravvivere. Nulla fu come prima per il resto della sua vita. Se un giovane italiano di 25 anni, arruolatosi volontariamente per difendere la Patria, è arrivato a scrivere questo, per quale ragione milioni di palestinesi non dovrebbero rischiare di perdere la vita per reagire ad una condizione che ritengono profondamente ingiusta?
Questo giustifica l’eccidio del 7 ottobre? Sicuramente no! Ma, forse, se fossi nato e cresciuto in un campo di profughi nella striscia di Gaza la penserei diversamente. Il futuro dell’umanità può essere affidato al caso che stabilisce dove nascono i (pochi) privilegiati del mondo ricco e progredito e i molti che invece vedono la luce nel terzo e quarto mondo?

 

Fonte Foto: Wikimedia CommonsMujaddaraCC BY-SA 3.0 Deed

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    Maria Rosa 6 mesi

    Condivido in pieno!!!!

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