Elly può curare il Pd (senza gli ex del Pci)

Elly può curare il Pd (senza gli ex del Pci)

di Roberto Tumbarello

C’è una sola new entry ma le sono tutti contro perché, seppure si definiscano progressisti, anche loro sono conservatori, come gli avversari, come in genere sono gli italiani. Si chiama Elly Schlein, ha 37 anni ed è già deputata, dopo avere percorso tutte le tappe intermedie delle istituzioni. È stata consigliere regionale e vice presidente dell’Emilia Romagna e per 5 anni europarlamentare. Appartiene a una famiglia d’intellettuali ebrei da parte di padre, che è un politologo di origine austro ungarica, di Leopoli, oggi Ucraina, che insegna Scienze Politiche a Lugano, dove Elly è nata. La madre, italiana, è ordinaria di Diritto pubblico comparato all’università di Como e Varese. Un fratello di Elly è matematico e una sorella diplomatica. Più intellettuali non si può. Ecco perché in questa società d’ignoranti è guardata in cagnesco.

Chi è Elly
Oltre a quella italiana, Elly ha anche la cittadinanza svizzera e statunitense, come Boris Johnson, che, essendo nato a New York, è inglese e anche americano. Ha studiato a Bologna, dove si è laureata giovanissima in Giurisprudenza. Prima dii entrare in politica a tempo pieno lavorava nel cinema come segretaria di produzione, dove ci voleva l’immaginazione e la creatività che manca ai politici e che, invece, lei ha.
È una novità per l’Italia, dove finora le donne, come in tutti i partiti, sono state il più delle volte, tranne rare eccezioni, appendici di uomini importanti, e dove – come nella migliore tradizione comunista – deputati e senatori portavano con sé anche le mogli in parlamento. Elly, invece, ha sempre agito per conto proprio. Quindi, è un prototipo. Ci sono altri tre concorrenti, il più autorevole dei quali è Stefano Bonaccini, 56 anni, diploma di liceo scientifico e politico di professione.

Lo sfidante di Elly
Cresciuto nel PCI, come la maggior parte dei leader della sinistra, ora si dice riformista. Sposato, due figlie. sembra il candidato favorito per popolarità, essendo gli ex comunisti una comunità ancora numerosa nel PD. Però, un incarico istituzionale in rappresentanza del PD ce l’ha già. È impegnato come presidente della regione Emilia Romagna. Quindi, se dovesse vincere sarebbe ridicolo fare il segretario del partito part time. Una corrente di pensiero, invece, sostiene che sarebbe meglio, perché si occuperebbe meno del partito e commetterebbe meno errori. Magari Letta fosse stato segretario part time!
Oppure dovrebbe dimettersi dalla regione col rischio – anzi, con la certezza – di regalare la presidenza e la maggioranza dei consiglieri alla destra. Tranne nelle gag di Fantozzi, non si era mai sentito un segretario di partito, impegnato nell’opposizione parlamentare alla destra, che non sia deputato o senatore. Infatti, Bonaccini in Parlamento c’è stato solo come visitatore. Quindi, è assurdo candidarsi alla segreteria.

Gli errori del PD
Ma da un po’ di tempo nel PD si succedono episodi imprevedibili e inimmaginabili che sembrano in complotto con gli avversari. In effetti, molti parlamentari, che Letta ha ingenuamente candidato alle scorse elezioni in posti sicuri, sono ancora legati a Renzi, che, ora in combutta – più che in società – con Calenda, se consultato, non suggerisce certo di votare per Elly Schlein con cui il PD potrebbe decollare.

L’attività politica di Bonaccini si è sempre svolta in periferia, limitata al Consiglio comunale di Modena e alla regione
Non è mai stato parlamentare, quindi non conosce i meccanismi della politica nazionale in cui ambisce di annettersi in un periodo particolarmente critico del PD, reduce da una sconfitta memorabile e in cerca di riscatto. Non gli sarà facile impararne i segreti continuando a stare al livello regionale in cui è costretto dall’impegno di una presidenza che non può abbandonare. Per di più non è per lui un vantaggio essere la copia conforme di Letta – espressione seria e mai predisposta al sorriso – con la sola barba in più.

Bonaccini sembra avere la meglio su Elly
Povero PD, non è solo scarso di figure tradizionali di spicco da candidare, ma anche nella base che dovrà eleggerli.  Ovviamente, per ora, a poche settimane dalla data fatidica, la maggioranza sembra sorridere a Bonaccini, per la tendenza che da un po’ di tempo imperversa nel PD di volersi fare del male. Soprattutto nel momento in cui l’opposizione dovrà affrontare il crudele progetto di Calderoli sull’autonomia regionale differenziata, che purtroppo penalizzerà notevolmente il Sud che il PD dovrà difendere, seppure voti ancora per la Lega. Mentre il Nord – neppure la Padania – è più leghista.
È, però, il candidato più meridionale dei quattro, anche se probabilmente non ne conosce la realtà né i tanti problemi e neppure chi la rappresenta. Ormai è tanto che il Sud figuri almeno sulle carte geografiche perché, se no, è come se non esistesse. È soltanto un deposito di voti. Non c’è neppure ambizione politica, dove emergono soprattutto i fannulloni. Bonaccini deve avere male interpretato una quartina di Nostradamus, che previde la morte di Benedetto XVI, il 31 dicembre 2022, e l’ha interpretata per l’elezione favorevole alla segreteria del PD nel 2023.

Si prevedono stravolgimenti. Bonaccini stia attento
Nei prossimi mesi il PD sarà pure impegnato nello stravolgimento della Costituzione che la destra ha in programma per attuare il semi-presidenzialismo che limiterà moltissimo la funzione del Parlamento, accentrando tutti i poteri su una sola persona. Solo allora sarebbe tollerata la candidatura di Bonaccini alla segreteria nazionale perché non sarà più una limitazione non essere parlamentare, tanto non conteranno nulla.
Se ricordasse la disastrosa esperienza della Serracchiani in Friuli, rinuncerebbe subito a concorrere per la segreteria del partito. Era stata eletta nel 2013 Presidente della regione, e il PD governava pure Trieste. L’anno successivo Renzi la chiamò a Roma – non si sa se per indebolire il partito in Friuli, come aveva fatto in Liguria – come vice segretaria assieme a Lorenzo Guerini. Nel 2016 il PD perdette il comune di Trieste e nel 2018 ovviamente la regione. Alle successive elezioni politiche del 2018 dal 40.08% del 2013, scese al 18%. Bonaccini rifletta.

La seconda sfidante di Elly
Paola De Micheli, 49 anni, dirigente d’azienda di Piacenza, laureata in Scienze Politiche alla Cattolica, è un’altra aspirante alla segreteria del PD. Deputata alla quarta legislatura, ha un ottimo curriculum. È stata ministro col governo Conte e più volte sottosegretaria. Ma è in parte complice delle disastrose scelte elettorali di Letta che hanno causato la Caporetto del partito alle scorse elezioni del 25 settembre. Chissà se gli elettori PD se ne ricordano.

Teniamo lontani i nostalgici del PCI
C’è poi Gianni Cuperlo, triestino, 61 anni, laureato al DAMS di Bologna (Disciplina delle Arti, Musica e Spettacolo), anche lui di provenienza comunista, come la moglie con cui hanno una figlia. Si conobbero in un viaggio di studio nella Corea del Nord. Quattro legislature, è alla sua seconda candidatura alla segreteria del partito. Nel 2013 fu battuto da Renzi.
Con la gestione Letta si era interrotta nel PD – malamente, peggio non poteva andare – la gestione egemonica di origine comunista. Che oggi si rifà viva con due candidati, entrambi garbati ma di formazione non più adeguata. Se uno dei due vincesse, nessuno potrebbe più biasimare i post fascisti né sperare in una rimonta, essendo scomparso il proletariato con cui il PCI sapeva dialogare.
Hanno entrambi possibilità di vittoria, comunque di vantaggio sulle donne perché la componente comunista è ancora molto influente nel partito. Ecco perché quando si ricercano le cause della crisi, non si cita mai l’inconveniente che con la caduta del muro di Berlino e dell’URSS, i comunisti sono scomparsi ovunque in Europa, tranne in Italia, dove hanno saputo riciclarsi ma non evolversi. Hanno solo cambiato nome; e poi, dicono ai post fascisti, che, per la prima volta emergono sulla scena politica. Gli ex comunisti, invece, hanno avuto ministri in ogni governo, un premier e addirittura un capo di stato. Sono stati quasi sempre alla guida del PD.

Una decisione che andava presa prima
Forse si doveva decidere prima la nomina del nuovo segretario del PD, subito dopo la disfatta del 25 settembre. Ma sapendo gli italiani di memoria corta, Letta sperava forse che in quattro mesi fosse dimenticata la sua disastrosa gestione, e qualche sprovveduto lo riproponesse alla guida del partito, che ormai i personaggi di prestigio evitano perché certi di fare una brutta figura.
Il cambio di segretario, invece, avverrà dopo un appuntamento elettorale importante che è stato sottovalutato. Le regionali in Lombardia e nel Lazio. Non saranno in regime di maggioritario, ma di proporzionale. Sono le stesse persone – Sala, Pisapia e altri – che potrebbero in accordo con la Moratti, insidiare la poltrona di Fontana. Ma si sono fatti tutti da parte e il Pd si è ridotto a candidare Majorino a Milano e D’Amato a Roma che non brillano per prestigio e neppure per notorietà.
Non saranno indispensabili le alleanze come alle politiche. Infatti, non si fanno neanche questa volta. Ma si tiene a informare l’elettorato del clima di diffidenza e d’inimicizia che vige sempre tra PD e M5S. Quindi, non può migliorare la situazione della sinistra, che, infatti, indietreggia continuamente ed è arrivata al minimo storico del 15%.

Perché Elly può essere la carta vincente
Il crollo è avvenuto perché gli elettori hanno capito che, essendo perdente, era inutile votare PD. Quindi, l’alleanza è importante per dare un segno di ripresa al paese. Ma lo scettro della sinistra non passerà al M5S perché Conte non lo vuole. Spera di non essere neppure lontanamente associato alla sinistra, di cui non gli conviene essere un doppione, né considerare il PD antagonista o rivale. Quindi, sarebbe stato importante un cambio di passo, nuove strette di mano, magari un minimo di umiltà per proporsi timidamente come alleati. Infatti, seppure vincessero PD, M5S e terzo polo, non sarà mai possibile un accordo di governo. Perché Calenda, essendo finanziato da chi non auspica un accordo tra avversari della destra, non parla con i Cinque Stelle. Per di più, tutti temono, non a torto, un altro tradimento di Renzi.
Intanto, Bonelli ce l’ha con Fratoianni per avere candidato Soumahoro che adesso è persino offeso con entrambi per non essere  stati solidali con lui, pur avendolo fatto eleggere deputato. Di scusarsi per avere moglie e suocera che sfruttavano i lavoratori immigrati non se ne parla. E il colore della pelle non c’entra.

Attenzione a Conte
Il M5S è salito notevolmente nei consensi, nonostante dopo tante scissioni e divisioni sembrava dovesse scomparire dal panorama parlamentare. Conte ha fatto in pochi mesi un lavoro mirabile, una politica che raccoglie i voti di chi non è di sinistra ma neppure della destra sovranista. Ed è ora il secondo partito che lambisce il 20% dei consensi. Un tempo questi elettori votavano per Forza Italia finché era di centro destra. Ora che ha perso la caratteristica moderata e si è schierata a destra, votano per il M5S rinnovato e più serio.

Un occhio alla Lombardia
È probabile che le elezioni regionali, ultimamente appannaggio della sinistra grazie alle liste civiche, oggi seguiranno la tendenza delle politiche per le simpatie che gli italiani hanno per i vincitori. Uno scolorito punto interrogativo aleggia sulla Lombardia, dove la Lega è in continua diminuzione e Forza Italia divisa, per effetto della sfida della vedova Moratti, che, reclutando tutti gli scontenti della destra e i soliti transfughi attratti dalla novità, mira alla poltrona di Fontana la cui gestione negli ultimi cinque anni è stata molto mediocre. Infatti, è complice anche lui della perdita di consensi della Lega, che, però, non ha molti altri candidati.

Manca il materiale umano. E se Elly fosse la svolta?
La crisi della società occidentale, oltre che dall’eccessiva quantità di denaro circolante, dipende soprattutto dalla carenza di materiale umano. Non ci sono più i personaggi di una volta – si dice sempre così e forse lo si dirà persino dei nostri tempi bui – e se ci sono gli viene precluso l’ingresso alla politica.

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