GIUSTIZIA: NESSUNA “LEGGE-BAVAGLIO”, MENTRE L’ARRETRATO NON CALA

GIUSTIZIA: NESSUNA “LEGGE-BAVAGLIO”, MENTRE L’ARRETRATO NON CALA

di Giuseppe Gullo

Per iniziativa del deputato di Azione Enrico Costa, il Parlamento ha approvato un emendamento che ha introdotto il divieto di pubblicazione integrale o per estratto dei provvedimenti di custodia cautelare fino alla conclusione dell’udienza preliminare. Hanno votato a favore, oltre ai deputati di Azione e Italia Viva, anche quelli dei partiti della maggioranza. L’emendamento, presentato originariamente dall’on. Costa, è stato parzialmente modificato dal Governo che l’ha fatto proprio, ed è stato approvato con un’ampia maggioranza e con il voto contrario di 5S, PD e sinistra. I pentastellati, in particolare, hanno rilasciato dichiarazioni di fuoco contro il provvedimento evocando la censura al diritto d’informazione con lo scopo di soccorrere i malfattori per “nascondere o lasciare impunite le malefatte della borghesia mafiosa, dei corrotti, dei comitati d’affari“. Il PD è andato al traino del giustizialismo dei Grillini difendendo la legge Orlando del 2019 che aveva reso pubblici quegli atti che hanno contribuito non poco ai processi sommari sui media e alle vergognose pubblicazioni di fatti che riguardavano persone estranee all’indagine o del tutto ininfluenti rispetto alle contestazioni.
È evidente che su tale questione si scontrano due visioni opposte dei diritti degli indagati e della tutela costituzionale garantita dall’art 27 della Carta, che stabilisce il principio di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva. Ciò che colpisce è l’inversione di ruoli e di posizione tra i protagonisti di questa vicenda. La destra, storicamente fautrice dell’ordine repressivo e della legge come longa manus della concezione punitiva della Giustizia, veste, forse a malincuore, i panni del difensore dei diritti dell’indagato e di custode del principio di civiltà giuridica che vuole “non colpevole” chiunque non sia stato condannato in via definitiva con il conseguente diritto di non subire la gogna mediatica.  La sinistra, al contrario, indossa i vestiti logori di chi vuole “sbattere il mostro in prima pagina”, lo scandalo dato in pasto all’opinione pubblica insieme alla pena immediata, severa ed esemplare, senza contraddittorio né vera possibilità di difesa. Tanto, quando si arriverà alla sentenza definitiva, spesso di assoluzione, quasi nessuno avrà memoria dei fatti.
Non è facile capire. Quanto accade, tuttavia, pone una serie di interrogativi, alcuni dei quali vanno molto oltre l’ambito nel quale nasce la ragione del contendere. Il terzo Partito rappresentato in Parlamento, fino al 2022 primo con oltre il 32% dei voti, afferma che la finalità della norma di cui discutiamo è quella di dare copertura e immunità, oltre che ai corrotti e ai comitati d’affari, alla “borghesia mafiosa”, impedendo alla “libera” stampa di fare il suo mestiere. Chi ha scritto il comunicato forse non si è reso pienamente conto di avere inventato una nuova categoria sociologica. La Treccani definisce borghesia “l’insieme degli appartenenti al cosiddetto ceto medio, che vivono del loro reddito o esercitano il commercio, l’industria o una professione libera“. La stessa enciclopedia definisce mafioso chi “appartiene alla mafia o ne ha i caratteri“. In conseguenza, la borghesia mafiosa sarebbe “il ceto medio che appartiene alla mafia e ne assume i caratteri”.
È dunque questa parte della popolazione dedita all’attività delinquenziale organizzata che la norma appena approvata dal Parlamento intenderebbe tutelare secondo gli ex seguaci di Grillo e oggi di Conte, che affermano simili assurdità al solo fine di lanciare accuse che non hanno alcun fondamento, creando infondate preoccupazioni nell’opinione pubblica meno avvertita ed evocando categorie inventate di sana pianta solo per apparire duri e puri, ben s’intende cogli altri.
Etichettare come mafioso il ceto medio italiano significa mistificare consapevolmente la realtà solo a fini propagandistici. E sconcerta il fatto che il PD non sia neppure in condizione di chiedere il rispetto della Costituzione e dei principi di tutela  dei diritti dei cittadini sottoposti a indagine e colpiti da misure cautelari che la legge limita alla presenza di precisi requisititi di pericolo, come  evitare la fuga, l’inquinamento delle prove o la reiterazione del reato; insomma, provvedimenti straordinari, emessi in presenza di specifici requisiti, strumentalmente finalizzati a evitarli e comunque temporalmente limitati, e non come forma di espiazione anticipata della pena o strumento per ottenere confessioni o chiamate di correo. Con la libertà personale, la dignità e la serenità delle famiglie nessuno può speculare. Esse sono talmente importanti da meritare la massima attenzione e un altissimo rispetto.
La norma approvata dal Parlamento si muove in questa direzione. I media potranno continuare a fare tutte le inchieste che vorranno, evitando tuttavia di pubblicare atti che sono coperti dal segreto istruttorio fino all’udienza preliminare quando diventeranno pubblici e pubblicabili con le garanzie che la legge riconosce all’indagato. Bavaglio? No, rispetto del cittadino indagato e non colpevole fino alla sentenza definitiva.
L’ANM ha subito protestato violentemente e alcuni magistrati hanno dichiarato che avrebbero continuato a dare ai media il testo delle ordinanze cautelari in aperta violazione della norma che lo vieta. Nessuno, invece, ha commentato il fatto che la previsione di abbattere l’arretrato dei processi civili nei Tribunali e nelle Corti d’Appello è fallita miseramente. l‘obiettivo di ridurre entro il 2023 l’arretrato nei Tribunali nella misura del 28% si è realizzato solo per il 9%, mentre nelle Corti d’Appello è stato del 28% invece che del 39. Il Governo è dovuto correre a Bruxelles con il cappello in mano per chiedere una modifica dell’impegno che prevedeva una riduzione del 90% entro il 2026 nei Tribunali e del 95% in Appello. Ha ottenuto una diversificazione nel senso di prendere in considerazione le cause pendenti ante 2019 separatamente dalle successive. Solo per quest’ultime resta fermo l’impegno di ridurle nella misura originariamente prevista per il tutto. Nonostante questa mano d’aiuto della Commissione, tranne miracoli possibili ma improbabili, sarà quasi impossibile raggiungere i risultati promessi.
E tutto questo nonostante l’eccezionale sforzo di assunzioni che ha visto arruolare quasi 13.000 unità di personale come coadiutori di Giudici e Cancellieri. Il Belpaese ha il più alto numero di magistrati d’Europa, organici dilatati tra addetti al processo e personale di cancelleria, e, nonostante ciò, un arretrato mostruoso che non riesce a far diminuire. C’è qualcosa che non quadra, secondo buon senso.

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