I MISTERI IRRISOLTI DEI RAPPORTI TRA ISTITUZIONI E MAFIA

I MISTERI IRRISOLTI DEI RAPPORTI TRA ISTITUZIONI E MAFIA

di Giuseppe Gullo

Non so se qualcuno di coloro che seguono, per lavoro o interesse, le appassionanti vicende della storia dei rapporti tra Istituzioni e mafia negli anni che hanno preceduto e seguito le stragi in Sicilia e nel resto del Paese, avrà la forza e la costanza di leggere le 2700 pagine delle motivazioni della sentenza che ha assolto in appello il Generale Mori e gli altri imputati del processo che passerà alla Storia con il nome di “Trattativa”. Al momento i principali mezzi di informazione si sono limitati a riportare la notizia con rilievo riferendo che i Giudici avevano ritenuto che le iniziative prese dai vertici dei Carabinieri, non autorizzate, furono improvvide ma assunte con la finalità di porre fine ai massacri che avevano insanguinato il Paese e creato nell’opinione pubblica un grande allarme e il convincimento dell’impotenza delle Istituzioni di contrastare efficacemente la mafia.

La notizia è scomparsa rapidamente dalle cronache con qualche meritoria e interessante novità. Tutte le fonti concordano nel riferire che i Giudici sono giunti alla conclusione di avere accertato che vi fu una “trattativa coperta”, che fu promossa dai vertici dei Carabinieri per arrivare a una “soluzione” che prevedesse una sospensione dell’attività stragista.

Non vi furono però, sostengono i Giudici d’appello, fatti aventi rilevanza penale in quanto l’azione era giustificata dall’intento di rimediare, come possibile, a una situazione drammatica. Le cose diventano molto più oscure nel momento in cui i Giudici hanno accertato che parallelamente si è sviluppata un’operazione d’intelligence col nome in codice“farfalla” tra i servizi segreti civili, guidati da Mori e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria guidato da Tinebra, ex procuratore capo di Caltanissetta,ufficio competente per i reati nei quali sono coinvolti magistrati in servizio a Palermo, per ottenere confidenze da parte di mafiosi detenuti in regime di 41 bis, per le quali venivano corrisposte somme prelevate da fondi segreti.

Di questa operazione segreta non era trapelato nulla per lunghissimo tempo, ma sulla sua esistenza e sulla sua efficacia i Giudici palermitani non hanno dubbi,come sul fatto che il magistrato all’epoca delegato a questi rapporti,Ardita,oggi membro del Csm, sia stato tenuto all’oscuro e sostituito in modo anomalo da un altro magistrato il dott. Leopardi ancora in servizio a Palermo. La sentenza fa riferimento al tentativo dei servizi di inserirsi in una presunta spaccatura dei vertici mafiosi tra la linea stragista rappresentata da Riina e quella più morbida che faceva capo a Provenzano.

Questo, sinteticamente, è quanto è stato possibile leggere quale resoconto delle 2700 pagine della sentenza che chiaramente contengono molto altro.

Per cercare di capire di più in questa vicenda intricata e misteriosa è necessario fare riferimento a quale fosse il Governo e il quadro politico che lo esprimeva all’epoca dei fatti.

I Governi Andreotti VI e VII sono stati in carica fino al 1992, seguiti poi dall’esecutivo guidato da Amato. Al momento della strage di Capaci, 23 maggio 1992, era in carica l’Andreotti VII con Martelli ministro di Grazia e Giustizia e Scotti all’interno. Quando venne ucciso Borsellino,19 luglio 1992, Presidente del Consiglio era Giuliano Amato con Martelli alla Giustizia e Mancino all’Interno.

In quegli anni 92/93 si succedettero al SISDE come Direttori Voci e Finocchiaro, mentre al DAP era Direttore Nicolò Amato. I Governi erano sostenuti da una maggioranza di centrosinistra sfaldatasi per l’azione demolitrice della magistratura milanese. Il prof. Conso, illustre giurista, sostituì Martelli alla Giustizia. Fu proprio Conso nel novembre del 1993 a revocare il regime del 41-bis a 140 mafiosi su proposta del Direttore del DAP Nicolò Amato. Riina era stato catturato il 15 gennaio di quello stesso anno, il 1993, senza che il suo nascondiglio fosse perquisito dai Carabinieri dopo l’arresto.

Le iniziative di Mori, d’accordo con Tinebra, risalgono invece al periodo successivo al 2001,quando furono nominati quasi contemporaneamente il primo all’AISI (servizi) e il secondo al DAP dal Governo Berlusconi II.

Qual è lo scenario che viene delineato e che sarebbe sostenuto da prove concordanti? Dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio vi fu un tentativo da parte dei ROS, comandati dal Generale Mori, di ottenere da alcuni capi mafia una tregua degli attentati offrendo come contropartita la sospensione del regime carcerario del 41-bis che effettivamente fu concesso con provvedimento del Guardasigilli Conso. La mancata perquisizione del covo di Riina, gennaio 1993, sarebbe stata una prova di disponibilità a non “infierire” nell’attività di contrasto e d’investigazione. Di questo tuttavia non risultano riscontri certi sebbene alcune “coincidenze” facciano sorgere più di un dubbio. Mori e Tinebra, dopo la ripresa degli attentati del 1999 con l’uccisione di D’Antona e nel 2002 di Biagi, seguito l’anno dopo dall’omicidio di un agente di polizia, hanno assunto le iniziative di cui ho appena detto. L’intelligence in tutto il mondo ha un’ampia autonomia di azione e riferisce solo all’autorità politica da cui dipende. Proprio questo, e non è poco, è venuto meno in tutta questa vicenda dai molti aspetti oscuri, che è vana speranza che si possano chiarire.

Colpisce e impressiona il ruolo di alcuni protagonisti. Tinebra in primo luogo, procuratore capo a Caltanissetta e come tale titolare delle inchieste Falcone e Borsellino, il quale presta fede alle dichiarazioni del pentito Scarantino, giudicato del tutto inattendibile dalla Boccassini, giunta a Caltanissetta per indagare e, sappiamo adesso, anche per motivi sentimentali. Lo stesso Tinebra si rifiutò di acquisire le dichiarazioni che avrebbe voluto rendere Borsellino dopo l’attentato mortale a Falcone e, per ammissione della Boccassini, prima di ogni interrogatorio s’incontrava da solo a lungo con Scarantino, e certo non per discutere di calcio o di politica. Da ultimo, l’ex Direttore del DAP, deceduto nel 2014, ritorna oggi come uno dei fondatori della Loggia Ungheria secondo le dichiarazioni del siracusano Amara, ritenuto,a seconda dei casi, attendibile o fanfarone e visionario.

Stranezze sopra stranezze, misteri sopra misteri. Certezze nessuna, restano i morti, gli incontri riservati e le migliaia di pagine che nessuno forse leggerà mai.

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