Il ritorno di Palamara e i misteri del CSM

Il ritorno di Palamara e i misteri del CSM

di Peppino Gullo

Immagino che l’editore del nuovo libro del tandem Palamara-Sallusti abbia saggiamente atteso che si concludesse la vicenda dell’elezione del Presidente della Repubblica prima di mandare in libreria il seguito de “Il sistema”. La ragione è evidente a giudicare dalle prime anticipazioni che vengono pubblicate da alcuni quotidiani. Palamara alza il tiro, mira in alto, molto in alto, con effetti deflagranti.

Il Riformista pubblica lo stralcio di un capitolo relativo al caso Donadio-Grasso-Procura Nazionale antimafia che sfiora il Quirinale. Riferisce l’ex Presidente dell’ANM che molti procuratori di Direzioni Distrettuali Antimafia, tra i quali quello di Milano su sollecitazione della dott.ssa Boccassini, si rivolsero al CSM per denunziare il fatto che il Procuratore Nazionale Antimafia Donadio, già vice di Grasso e a lui molto legato, stava conducendo inchieste parallele rispetto a quelle svolte dalle DDA territoriali, senza darne comunicazione, procedendo ad interrogatori di collaboratori di giustizia in piena solitudine e senza comunicare l’esito e il contenuto delle deposizioni raccolte. Il CSM, scrive l’ex magistrato, si trovò in difficoltà in quanto era a tutti noto che procedere contro Donadio significava farlo contro Grasso, all’epoca Presidente del Senato, seconda carica dello Stato, in ottimi rapporti con il Quirinale come d’altronde lo era Donadio.

La pressione dei Procuratori fu tale che il Consiglio non poté sottrarsi all’apertura di un’indagine ed alla audizione di Grasso. Quest’ultimo, davanti al CSM, giustificò pienamente l’iniziativa del suo successore come Procuratore Nazionale ed affermò la piena corrispondenza dell’operato di Donadio ai poteri conferiti dalla legge. Il contrasto tra le posizioni era evidente. Il CSM chiuse l’indagine senza alcun provvedimento limitandosi a trasferire Donadio a Lagonegro come procuratore capo. Sicuramente il trasferimento non è stato un premio ma rapportato al trattamento che anni dopo sarebbe stato riservato all’ex componente del CSM, coautore del libro, dichiarato decaduto dall’ordine giudiziario, era un buffettino neppure troppo doloroso.

E’ questa la tesi di Palamara: l’uso deliberato dei due pesi e due misure. Nel caso Grasso-Donadio la mano di velluto e la chiusura tombale dell’indagine, nella vicenda che lo riguarda, a suo giudizio, infinitamente meno grave, la radiazione e i processi a raffica. Eppure osserva l’autore, l’interrogatorio riservato di 119 collaboratori, senza testimoni e senza preventiva comunicazione – ben sapendo che tra i c.d. pentiti vi sono millantatori, calunniatori, persone che cercano vendette dirette e trasversali, mentitori abituali e delinquenti incalliti che cercano solo una via d’uscita per evitare la galera e togliersi qualche macigno dalle scarpe – rappresentava un elemento esplosivo per le inchieste che erano in corso presso le Procure Distrettuali. Qual era la finalità di questa iniziativa che era sicuramente avallata dalla seconda carica dello Stato? La risposta in quel che pubblica il Riformista non c’è ma qualche idea ognuno può legittimamente farsela.

Il Corriere, nel dare notizia della pubblicazione del libro, cita per titoli molti casi incandescenti ancora aperti. Dalla Loggia Ungheria, al caso Davigo, alla nomina di Prestipino a procuratore capo di Roma, a grandi lobby che intervengono su tutto con poteri eccezionalmente forti. Titoli soltanto. Ma la lettura del libro non potrà che riservare altri colpi di scena, dal caso Montante a ricatti a sfondo sessuale. Non manca nulla.

Avremo materia sulla quale discutere a lungo. Intanto i tempi stringono e le scadenze incombono tra la confusione generale e la mancanza di bussola in una navigazione molto difficile. I Referendum sono alle porte e tutti li temono. I sei quesiti referendari riguardano aspetti fondamentali del sistema giudiziario del nostro Paese. Prevedono la separazione delle carriere tra giudicanti e inquirenti, la responsabilità civile personale dei giudici, la modifica del sistema di valutazione, l’abrogazione della legge Severino, la modifica del sistema elettorale per l’elezione del CSM e l’introduzione di limiti alla custodia cautelare. Credo che sia facile prevedere che, se si dovesse arrivare al voto, vi sarebbe una maggioranza schiacciante a favore dei quesiti referendari con conseguenze simili a quelle di uno tsunami con onde gigantesche. È finito il tempo dei piccoli aggiustamenti che lasciavano tutto com’era. La rabbia e la sfiducia del cittadino-elettore sono arrivate ad un punto senza ritorno. La risposta del Governo e del Parlamento non può essere ambigua e volta solo a prendere tempo. Occorre coraggio e lungimiranza per far sì che l’ordine giudiziario torni nel suo alveo ad amministrare Giustizia secondo quanto previsto dalla Costituzione.

È di queste ore la notizia che il Governo intende proporre il divieto di ritornare in magistratura per chi ha ricoperto cariche pubbliche elettive. Provvedimento, a mio giudizio, opportuno ma forse eccessivo, anche in considerazione della reale incidenza del fenomeno. Secondo i dati ufficiali del 2021 i magistrati che sono parlamentari sono sei, due sono membri del Governo e uno è Presidente di Regione, nove in tutto.

Forse potrebbe essere sufficiente prevedere il divieto di rivestire incarichi direttivi e l’obbligo di essere assegnati per 10 anni in un distretto e/o regione diverso/a da quello/a in cui si è stati eletti, mentre sarebbe utile introdurre qualche incompatibilità anche per chi sia stato candidato ma non sia risultato eletto, oltre che per in tanti che servono in incarichi a diretto contatto con membri del governo nazionale e di quelli regionali; in fondo, sempre di incarichi politici si tratta!

Pugno di ferro contro pochi ma guanto di velluto verso tanti!

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