ISRAELE È IL NOSTRO ULTIMO BALUARDO E FINGIAMO DI NON SAPERLO

ISRAELE È IL NOSTRO ULTIMO BALUARDO E FINGIAMO DI NON SAPERLO

di Giuseppe Buttà

Credo anche che non sia un caso che i ‘resistenti’ di Hamas – come Erdogan li ha definiti, incoraggiando a farlo anche buona parte dei ‘resistenti’ italiani – abbiano scatenato la mattanza del 7 ottobre nel Sud di Israele.
Cui prodest? Se la guerra è sempre una sconfitta per l’umanità, e non abbiamo ragione di dubitarne, altrettanto certo è però che c’è sempre qualcuno che ne trae vantaggio.
Non ci soffermeremo sulle brutalità che stanno deturpando quella parte del mondo se non per dire che non si può chiedere a Israele di arrendersi al turpe, raccapricciante e angosciante ricatto degli ostaggi o di battersi con le mani legate, con i tric-trac e le castagnole contro i missili e i bunker di Hamas: sappiamo tutti che Hamas si è trincerata dietro i corpi vivi dei malcapitati palestinesi, dietro un muro di carne al cui riparo ha collocato i suoi katiuscia, i suoi missili, le sue orde barbariche. Sappiamo tutti che, tra le centinaia di chilometri di tunnel costruiti, gli ingegneri di Hamas non ne hanno pensati un solo metro da destinare a rifugio per i civili.
Non è necessario scavare nelle manifestazioni delle piazze italiane – che hanno come protagoniste le masse arabe e islamiche presenti in Italia, accompagnate, se non guidate, da vecchi arnesi e nuovi sedicenti leader del cosiddetto pacifismo nostrano (Santoro, De Magistris & Co) e leader sindacali, e che a Genova cercano di boicottare la spedizione di armi a Israele – per capire che dietro si nasconde qualcosa di più oscuro, e dobbiamo registrare che la fobia antiisraeliana e antiamericana che promana da queste piazze rovescia lo sdegno dell’umanitarismo strumentale su Israele per le migliaia di morti e delle distruzioni di Gaza.
Israele subordina al rilascio degli ostaggi la tregua che insistentemente gli viene chiesto (anche dagli americani) di concedere; per questo motivo, le anime belle accusano il governo israeliano di disumanità e chiedono a gran voce di fermare l’attacco a Gaza: forse per lasciarla nelle mani di Hamas? Come tutti sappiamo, le tregue e la guerra si fanno in due e, quindi, se la parte cui viene chiesto di concedere la tregua è quella che in atto è in vantaggio sul campo di battaglia, così permettendo all’avversario di leccarsi le ferite, è chiaro che, ancora prima che la tregua entri in vigore, le si deve dare in cambio qualcosa, e in questo caso, se non la resa di Hamas, non può che essere la vita degli ostaggi.
Manifestare in favore della pace è certamente legittimo ed anche necessario a patto però che non si distorcano i fatti e non si chieda solo a Israele di rinunciare alla sua difesa; forse sarebbe il caso che (anche da parte dell’ONU) si ricordasse ad Hamas che, da quando la guerra è guerra, esiste la resa, e gli si chiedesse quindi di liberare gli ostaggi senza condizioni visto che non è in grado di difendere quella popolazione che dice di voler proteggere, e anche di rinunciare ai suoi piani di un nuovo olocausto: piani annunziati e perfezionati dal presidente iraniano Raisi che a Riad – nella grande assise degli stati islamici di tutte le confessioni, Turchia, Arabia Saudita, Iran … – ha tracciato i confini del futuro stato palestinese dal Giordano al mare.
Purtroppo però dobbiamo registrare che tutto l’Occidente, compresi gli Stati Uniti, non si fa mancare questi spettacoli che ne invocano il suicidio.
In certi salotti televisivi e su buona parte della carta stampata non si parla d’altro che delle colpe – anzi dei crimini – di Netanyahu ma si sottace che il suo è un governo di unità nazionale il quale, dunque, è unitariamente responsabile della condotta della guerra. Mentre molto inchiostro e grand parte di certi palinsesti televisivi vengono sprecati per mettere alla gogna Salvini, responsabile di avere convocato una striminzita manifestazione filo-occidentale e pro-Israele in nome di Oriana Fallaci, nei talk-show, nelle piazze e nelle università italiane – che, come al solito, si adeguano seppure con un certo ritardo alle mode dettate dalle università americane – abbondano gli slogan antisemiti e antioccidentali che vengono fatti passare come difesa di una giusta causa.
A Israele si chiede proporzionalità nella sua reazione al vile attacco terroristico del 7 ottobre; ma come si vuole misurare questa proporzione? Non certo sul numero dei morti vilipesi che si sono contati nei kibbutz confinanti con Gaza; una tale proporzione andrebbe piuttosto misurata rispetto all’obiettivo di debellare Hamas che Israele si pone per scongiurare attacchi simili in futuro: il costo da pagare per raggiungerlo – compreso il rischio di non riuscirci – lo deve valutare Israele sia in termini militari che politici.
Che la guerra di Gaza si concluda con l’eliminazione di Hamas non è certo anche se dovremmo augurarcelo; è certo invece che questo sia un obiettivo legittimo, necessario e utile non solo per Israele ma anche per la stessa soluzione del problema palestinese.
Cui prodest la guerra di Gaza? Chi ha armato e foraggiato Hamas forse con lo scopo di rendere impossibile questa soluzione? Sappiamo tutti che la cancellazione dalla faccia della terra dello Stato degli ebrei e, insieme, della vita degli ebrei è il fine agognato e non nascosto di Hamas, Hezbollah, Jihad, Iran, etc., ed è un fine il cui perseguimento rende impossibile la pace.
Anche se Israele accettasse di tornare dentro i confini del 1967, cioè lasciando anche Gerusalemme Est, questi ‘resistenti’ rimarrebbero assetati del sangue degli ebrei.
In questo clima e su questa base – pur essendo necessario arrivare alla fondazione di uno stato palestinese a fianco di Israele e pur essendovi tra gli israeliani chi, come Ehud Olmert, è disposto a lasciare Gerusalemme Est e ad alcuni scambi territoriali in modo da redislocare gli insediamenti di coloni in Cisgiordania – l’apertura delle trattative appare molto lontana fino a quando non sarà stata rimossa la minaccia che fa vivere lo stato ebraico sotto la tirannia di una disperata apprensione.
Ricordando che solo l’accordo di Camp David tra Begin e Sadat portò alla svolta della pace tra Israele ed Egitto e però costò la vita a Sadat, ucciso per mano di un estremista islamico, dobbiamo ammettere che, sulla mancata attuazione degli accordi di Oslo – che a loro volta costarono la vita a Rabin, ucciso da un estremista israeliano – pesa non solo la politica israeliana degli insediamenti in Cisgiordania ma soprattutto la strategia di Hamas e dei suoi protettori che mirano alla distruzione di Israele. Il compromesso dei ‘due stati’ allora raggiunto non piace soprattutto a chi ha avuto e ha molto da guadagnare dall’instabilità del Medio Oriente.
Non ci meravigliamo dunque del fatto che, nel pieno della guerra di Gaza, il Cremlino si sia affrettato a ricevere una delegazione di Hamas – né dovremmo meravigliarci se apprendessimo che, sotto sotto, l’hanno fatto anche i cinesi – né ci sorprende che gli Hezbollah libanesi abbiano annunciato di avere nelle mani il missile russo Yakhont e di essere così in grado di colpire la flotta USA fino a 300 Km di distanza.
Da un mese a questa parte, la guerra in Ucraina è sotto i nostri occhi ma non la vediamo come non vediamo la ‘guerra del grano’, che semina fame e rancore nei paesi messi a ‘dieta’ dalla Russia – paesi africani, soprattutto quelli ben custoditi dai musicisti wagneriani pur orfani di Prigozhin e ben presidiati dalla Cina ‘neo-capitalista’ che ne ricava ottime rendite – e da dove si esportano centinaia di migliaia di ‘migranti’ da accogliere in Europa Occidentale (specialmente in Italia); né vediamo la lontana Taiwan, dove si potrebbe ben presto aprire un’altra ordalia forse con una nuova Pearl Harbor. Non vediamo nemmeno le grandi manovre del BRICS che mirano a dare un colpo mortale all’economia Occidentale.
E allora è facile capire a chi giova tutto questo: nell’immediato, serve soprattutto alla Russia che spera nell’allentamento dell’attenzione degli Stati Uniti e dei loro alleati sull’Ucraina per poter tentare di portare a termine la sua strategia di espansione in Europa da un lato, e nel Mediterraneo dall’altro (le navi russe sono già in Siria e stanno cercando un’altra base in Cirenaica, a un tiro di schioppo dall’Italia); nel lungo periodo, serve al progetto del califfato islamico cui aspirano vari pretendenti in competizione con i pasdaran iraniani; e serve anche alla Cina che, da una conflagrazione ‘controllata’, spera di ricavare non solo l’isola che fu di Chiang Kai-shek ma anche nuove ‘vie della seta’ per mettere così il cappello su buona parte del mondo.
Sarebbe dunque un errore forse mortale lasciare da sola Israele, o anche fermarla a metà dell’opera, per il timore che la guerra possa espandersi e coinvolgerci tutti; sarebbe un errore mortale perché lasceremmo campo libero  a questi progetti; e così, come disse Churchill a proposito di Chamberlain, avremo non solo il disonore ma anche la guerra; sarebbe quell’errore che fin qui abbiamo voluto evitare non lasciando l’Ucraina da sola. O vogliamo commettere anche questo lasciandoci abbindolare – e pare che molti stiano per esserlo – dai saltimbanchi assatanati del pacifismo a senso unico?

 

Fonte Foto: PxhereCC0 1.0 Deed

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