LA BEFFA TRA IL DIRE E IL FARE AI DANNI DEL SUD

LA BEFFA TRA IL DIRE E IL FARE AI DANNI DEL SUD

di Giuseppe Gullo

           Uno dei parametri che serve a dare un giudizio quanto più serio e documentato possibile sull’attività di chi ci governa è la veridicità di ciò che dichiara. Ovviamente fa parte della normale dialettica tra maggioranza e opposizione, tra i partiti dei contrapposti schieramenti, che su un determinato provvedimento si diano giudizi diversi e talvolta opposti. Ma un dato è assolutamente imprescindibile, e cioè che i fatti che vengono riferiti corrispondano alla realtà. Quando ciò non avviene, il problema non è di polemica politica, bensì del modo stesso di intendere la gestione della cosa pubblica e di come essa deve essere esercitata e comunicata ai cittadini.
          Una delle grandi questioni italiane irrisolte e più gravi è da sempre quella meridionale. Fiumi d’inchiostro sono stati utilizzati per definire un divario crescente tra tre aree del Paese: quella del nord che procede alla pari, se non meglio, delle regioni più avanzate dell’Europa, quella centrale, col Lazio in prima fila, che segue a qualche distanza, e quella meridionale fortemente depressa, con la Calabria fanalino di coda, il cui reddito pro capite è la metà, o anche meno, di quello del nord. Questa differenza si riverbera in tutti i settori e nelle infrastrutture, per cui il livello dell’assistenza sanitaria è scarso, il sistema ferroviario e autostradale antiquato, l’istruzione in crisi, con la conseguenza che le famiglie abbienti fanno studiare i figli fuori dalla loro regione, e i giovani appena laureati lasciano i luoghi d’origine per andare a lavorare o a specializzarsi altrove.
          Sono fenomeni ben noti che nessuno ha inteso affrontare seriamente. Il Governo Draghi aveva dato attuazione a una legge a suo tempo proposta dal Ministro Calderoli che dotava di 4,6 miliardi un fondo destinato a ridurre le differenze tra le tre aree del Paese. Il Governo Meloni, nel gennaio di quest’anno, ha quasi azzerato quel fondo riducendolo a 890 milioni e destinando la differenza ad altri fini. Le proteste dei Presidenti di alcune regioni interessate al fondo, quello della Campania in modo particolare, sono rimaste senza risposta. A distanza di quattro mesi da quel prelievo forzoso di tre miliardi e ottocento milioni, la Presidente del Consiglio ha comunicato con clamore ed enfasi che è stato istituito un fondo di perequazione in favore delle Regioni meridionali e che esso è stato dotato di congrue risorse. Ed è qui che emerge la differenza fondamentale tra chi fa mera propaganda, magari in prossimità di importanti elezioni, e chi governa con serietà ed equilibrio; in questo secondo caso, sarebbe stato corretto comunicare che il Governo aveva restituito, magari aumentandola, la somma che aveva prelevato qualche mese prima per fare fronte ad altre urgenze, e che restava l’impegno a fare il possibile per diminuire la differenza tra regioni ricche e quelle in difficoltà, ad esempio introducendo nel ddl in discussione al Parlamento un meccanismo premiale per il Meridione. Niente di tutto questo, anzi la beffa dell’annuncio di finanziamenti che non sono nuovi ma piuttosto restituiti alle regioni già in passato individuate.
          Il problema non è di forma. Qualunque pubblico amministratore, e a maggior ragione il Capo del Governo, ha il dovere di riferire i fatti nella loro sostanza, aggiungendo ogni altra considerazione che ritenga di fare, ma non può spacciare per nuova una macchina usata, e men che mai può cambiarne il motore e la cilindrata per farla apparire come appena venuta fuori dalla catena di montaggio.
          Se queste sono le naturali considerazioni di semplici cittadini come noi, quali potrebbero essere quelle di altri Capi di Stato o di Governo che si trovassero a esaminare dichiarazioni che impegnano un grande Paese di fronte alla comunità internazionale?
         Il danno all’immagine e alla credibilità del Belpaese è molto più alto del fondo di perequazione che sarà pure immateriale ma pesa moltissimo!  

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