Tessera e distintivo

Tessera e distintivo

di Guido Di Massimo

Ogni tempo ha le sue fisime particolari, ma c’è un costume generale nel quale quelle fisime vivono indiscusse: è l’uniformità, il comportarsi come il vicino, il non fare stecche nel coro.
C’è stato un tempo nel quale un “signore” s’impose al popolo e che il popolo osannò, ammirò e seguì. Quel signore – per vari motivi sinistro – amava fare discorsi alle folle, e le folle amavano ascoltarlo estasiate e applaudirlo, amava essere ammirato e ascoltato, e fu amato e ascoltato, amava le divise e le parate, e il popolo che lo seguiva amava, o imparò ad amare, divise e parate. Tra le cose che amava e pretendeva, e che quasi tutti gli tributavano era il saluto, il “saluto al Duce”. Era un piacere per lui riceverlo e un piacere per quasi tutti tributarglielo.
Tutti dovevano fare il “saluto al duce”. Chi non lo faceva era quanto meno un asociale che non capiva la situazione né da che parte andavano la storia e il progresso. Non era “simpatico” non salutare, e anche i bambini erano educati a farlo. E la richiesta, per tutti, era sempre perentoria: “fai il saluto al Duce” e la domanda accusatoria era “perché non fai il saluto al Duce”?
Invito e domanda erano “giuste”: tutti dovevano fare il “saluto al Duce”, il popolo doveva essere unito, era necessario un solo sentire, nel coro le stecche non possono essere ammesse; pensieri e comportamenti debbono essere unici e inclusivi, mai divisivi.
Poi passò il tempo, e col tempo cambiano molte cose. Ma non la necessità che il popolo sia unito e che le stecche siano evitate. Ora quel sinistro signore è morto – secondo i ben informati sta all’inferno – e quel saluto non va più di moda; tranne qualche amante dei tempi andati nessuno lo usa più. Al suo posto, e al posto dell’invito a fare il saluto o alla domanda accusatoria sul perché non farlo, si è sostituito l’invito a “dire di essere antifascista” e la domanda accusatoria è diventata “tu non sei antifascista?”.
Sono inviti e domande che provano una certa continuità, pur nei cambiamenti. Una certa ingiustificata discontinuità c’è invece nel fatto che in quei tempi chi faceva il “saluto al Duce “ aveva anche un tessera di appartenenza e un distintivo. Non sarebbe opportuno che anche per meglio distinguere ed evitare domande noiose, ripetute e petulanti si distribuissero anche ora tessere di attestazione, questa volta di antifascismo, e relativi distintivi? Dal PNF al PNAF: una continuità nella discontinuità.
Quando riusciremo ad accettare la nostra storia nel male e nel bene, e a guardare avanti invece che indietro?

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