LA GRANDE RIFORMA

LA GRANDE RIFORMA

di Giuseppe Gullo

L’aspirante Primo Ministro, Presidente di FdI, ha rilanciato l’idea della costituzione di una Commissione Parlamentare Bicamerale per preparare un pacchetto condiviso di riforme istituzionali.

Proprio in questi giorni compie 40anni la formazione della prima bicamerale presieduta dall’on. Aldo Bozzi, liberale dall’aspetto di vecchio esponente di politico risorgimentale. Fu il primo vano tentativo di porre mano in modo organico, nella giusta sede, alla modifica o all’aggiornamento dell’impianto costituzionale della Repubblica. A quel primo tentativo ne seguirono altri due con le Commissioni presiedute da De Mita nel 1993 e, da ultimo, con quella di D’Alema nel 1997, entrambe finite con un nulla di fatto. Eppure erano state scelte come Presidenti personalità di grande prestigio e influenza, ex Presidenti del Consiglio gli ultimi due e Segretari della Dc il primo e del PDS il secondo, nonché esponenti di rilievo della maggioranza dei due maggiori partiti di quell’epoca.

Renzi fu l’ultimo in ordine di tempo, nel 2016, a provarci con riforme approvate dal Parlamento e bocciate dal voto popolare che hanno segnato il declino della stella politica dell’attuale capo di Italia Viva, che improvvidamente scelse di legare il suo destino politico all’esito del referendum. Nel frattempo alcuni interventi disorganici di modifica della Carta sono stati fatti, quasi sempre in senso peggiorativo, come nel caso delle modifiche al titolo V, nel 2001, e dell’immunità parlamentare nel 1993.

 In verità già nel Settembre 1979 con un articolo sull’Avanti, Bettino Craxi aveva lanciato l’idea di una grande riforma per ammodernare l’impianto costituzionale usando parole che, a distanza di 43 anni, sono incredibilmente attuali.

”……Ciò che occorre è un processo di riforma che abbracci insieme l’ambito istituzionale, ammi­nistrativo, economico-sociale e morale. Attorno ad un processo di riforma si dovrebbero mobilitare tutte le energie migliori, utiliz­zando tutta la ricchezza e la creatività delle intelligenze che nel Paese non mancano e richia­mando, in uno sforzo convergente ed organico, là responsabilità e L’impegno di tutte le forze po­litiche e sociali disponibili, per un’opera di tra­sformazione istituzionale, sociale e di progresso. Una Riforma che ponga tutti di fronte ad una prospettiva di largo respiro e trovi le sue basi di appoggio, non nella fragile diplomazia delle op­portunità contingenti ma partendo da una ro­busta chiarificazione politica Ira le forze rap­presentative in campo. Molti segnali signifi­cativi, ipotesi progettuali ed impulsi importanti si sono già manifestati ed operano verso una simile direzione. La Riforma su cui impegnare 1’ottava legislatura non partirebbe da zero, non nascerebbe in un deserto arido di idee e di pro­positi. La riforma costituzionale rientra nei poteri del Parlamento e la necessità di un bilancio e di una verifica storica è ormai fortemente sentita. Anche gli edifici più solidi e meglio costruiti, ed il nostro edificio costituzionale ha dimostrato di esserlo, si misurano con il logorio del tempo. Le esperienze fatte e vissute possono guidare le mani di una accorta revisione che ponga nelle migliori condizioni di funzio­namento i fondamentali po­teri dello Stato democratico, consolidi i diritti dei cittadini, favorisca il miglioramento delle relazioni sociali”.

La proposta del Segretario socialista fece gridare al golpe e al tentativo di stravolgere la vita democratica del Paese da parte di coloro che per calcolo o per convenienza erano contrari ad ogni reale rinnovamento. Craxi venne raffigurato con gli stivaloni e con abiti e cipiglio mussoliniani, e si scatenò contro di lui e il suo Partito la più grande offensiva mediatica del secondo dopoguerra. Cosa avvenne dopo fa parte della nostra storia recente alla stessa stregua delle ricorrenti, inutili e false volontà di riformare e rinnovare lo Stato .

Oggi il problema viene riproposto alla vigilia delle elezioni. Perché? Qualche commentatore politico ha ipotizzato che, se la destra dovesse avere i 2/3 dei seggi, vi sarebbe il rischio concreto di uno stravolgimento della Carta a colpi di maggioranza qualificata. Poiché la parola d’ordine di FdI è rassicurare, tranquillizzare, la risposta è arrivata a stretto giro: facciamo una bella bicamerale, garanzia che nulla cambierà. Eppure il problema esiste ed è urgente e sicuramente la riduzione del numero dei parlamentari varata nella legislatura appena finita, è un pannicello caldo che non risolve nulla.

Dicono le cronache del 1997/98 che la Commissione D’Alema fu a un passo dal concludere positivamente i suoi lavori dopo il famoso patto della crostata della signora Letta (zia), ma che all’ultimo momento tutto tornò in alto mare per contrasti insuperabili sulle riforme della Giustizia. Oltre al dolce, di quel tentativo resta il ricordo dei “ Dalemoni “ testimonianza della fertile fantasia del genio italico.

Se si ha voglia di leggere i programmi elettorali dei maggiori Partiti ci si accorge che sull’elezione diretta del Presidente sono d’accordo tutti tranne il PD che propone la sfiducia costruttiva, abbandonando proposte di semipresidenzialismo alla francese presentate nella passata legislatura.  Su tutto il resto non c’è chiarezza e tutti restano nel vago. Allora? Non vorrei che tra qualche anno fossimo ancora fermi a discutere della riforma del sistema elettorale. Alla fine, dal punto di vista di chi decide, per quale mai ragione dovrebbe cambiare una legge che gli consente di scegliere i parlamentari senza dare conto a nessuno? Tranne poi lamentarsi del fatto che il Rosatellum non è né carne proporzionale, né pesce uninominale, ed espropria gli elettori del diritto di scegliere gli eletti. Ma questo, alla fine, per chi conta sembra essere solo un dettaglio.

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