LA SENTENZA DAVIGO

LA SENTENZA DAVIGO

di Giuseppe Gullo

Il Tribunale di Brescia ha riconosciuto Davigo responsabile di rivelazione di segreto d’ufficio e lo ha condannato a 15 mesi di reclusione con i benefici di legge. Ha disposto inoltre un risarcimento di 20.000 euro in favore della parte civile Ardita, che il Tribunale ha riconosciuto essere stato danneggiato dalla condotta dell’imputato. La sentenza è clamorosa in considerazione della storia e della notorietà dell’imputato ed è destinata ad essere al centro dell’eterno dibattito tra le opposte fazioni che si sono schierate su fronti contrapposti sin dal momento in cui il caso è esploso, creando un terremoto i cui effetti si sono sentiti in tutti  i colli del potere romano.
È chiaro che l’impianto accusatorio e probatorio della Procura ha retto pienamente ed è molto probabile che le motivazioni della sentenza ne diano piena conferma. Lo sapremo molto presto. I veri  garantisti davanti a qualunque sentenza di condanna non esprimono alcuna soddisfazione né apprezzamento per l’autorità che l’ha emessa. Si limitano a prenderne atto, a leggere attentamente le motivazioni e a seguire gli sviluppi anche quando la pena è stata inflitta a un paladino del giustizialismo che da Pubblico Ministero, da Giudice, da editorialista e da comune cittadino ha sempre espresso il convincimento che fosse necessario usare il pugno di ferro e ogni mezzo, anche quello estremo della custodia cautelare preventiva, per arrivare a ottenere prove e confessioni comunque fossero state conseguite.
Per i garantisti, invece, è il momento di affermare che l’imputato Davigo, come tutti gli  altri nella sua condizione, è innocente fino alla sentenza definitiva e che è augurabile che i successivi gradi di giudizio possano chiarire eventuali zone d’ombra, se ve ne sono. Non è questa l’Italia a rovescio, come ha titolato oggi a tutta pagina il giornale che ha ospitato gli illuminanti articoli di Davigo negli ultimi anni. È l’Italia della legalità e della tolleranza dove ciascuno ha diritto ad un giusto processo e nello stesso tempo dove nessuno è legibus solutus. Davigo forse è stato vittima della Hybris , che gli antichi greci definivano “l’orgogliosa tracotanza che porta l’uomo a presumere della propria potenza e fortuna e a ribellarsi contro l’ordine costituito….”
Chi ha seguito il dibattimento in tutte le sue fasi ha avuto la possibilità di formarsi un’idea precisa dei fatti e dei comportamenti di ciascuno. Ha avuto modo di ascoltare testimoni eccellenti trincerarsi dietro improbabili non ricordo, e di sentire rievocare scene da film come per esempio le conversazioni nei cortile o nelle trombe delle scale dopo avere lasciato a debita distanza i cellulari. Tutto questo nel Palazzo dei Marescialli sede del CSM dove legalità e trasparenza dovrebbero stare di casa.
Nel dispositivo della sentenza mi ha particolarmente sorpreso la condanna dell’imputato a risarcire 20.000 euro alla parte civile Ardita. Non è difficile immaginare che questo aspetto, certo non per la parte economica, abbia rappresentato una seconda ferita non meno dolorosa per il “dott. Sottile”. Il risarcimento implica il riconoscimento di un danno che la condotta dell’imputato ha procurato al soggetto che lo ha richiesto. Ciò significa che Davigo ha operato in modo consapevole per screditare Ardita e creargli difficoltà e ostilità al solo fine di metterlo in cattiva luce di fronte ai colleghi e all’intero CSM, attribuendogli comportamenti poco chiari e amicizie quanto meno equivoche.
Dopo un sodalizio che sembrava d’acciaio, libri scritti a quattro mani, l’abbandono concordato di Magistratura Indipendente e la Fondazione di Autonomia e Indipendenza, nelle cui liste Davigo è stato eletto nel CSM proprio con Ardita, quest’ultimo è improvvisamente divenuto suo nemico e bersaglio preferito, sembra per non avere votato come Davigo avrebbe voluto in occasione della nomina del successore di Pignatone alla Procura di Roma.
Un’ultima osservazione riguarda l’opinione più volte espressa da Davigo di contrarietà al giudizio di secondo grado giudicato una perdita di tempo e di denaro. Ho letto che la prima reazione dell’ex componente del Pool di Milano dopo la lettura dei dispositivo è stata “proporrò appello”.  La contrarietà evidentemente riguardava i processi degli altri. È umano!

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