LE BARUFFE SUL NULLA OSCURANO LE COSE SERIE

LE BARUFFE SUL NULLA OSCURANO LE COSE SERIE

di Giuseppe Gullo

Con la rilevante eccezione dei gorghi, dei mulinelli e delle rapide insidiose del fiume carsico che attraversa il pianeta Giustizia, la navigazione del Governo di destra procede in acque tranquille. Vi sono questioni che infiammano il dibattito assumendo un rilievo perfino eccessivo, ma sono problemi in qualche modo “marginali”, di modesto rilievo politico generale.
Il caso dell’anarchico che sta facendo lo sciopero della fame contro il regime carcerario del 41-bis è sicuramente importante e pone rilevanti riflessioni sulla realtà carceraria, ma non investe temi di linea politica dirimente quanto piuttosto di sensibilità e di rispetto della Costituzione.
In entrambi gli schieramenti, con diverse sfumature, vi sono esponenti favorevoli e contrari al carcere duro, al di là del caso Cospito. Chi scrive è contrario al 41-bis e ritiene che esso sia in contrasto con lo spirito e la lettera della Carta e che, essendo nato come misura straordinaria in un momento storico molto travagliato della nostra storia, non abbia oggi ragione di restare in vigore.
Il carcere duro fu introdotto nel 1986 come provvedimento straordinario e temporaneo limitato ai casi di rivolta nelle carceri; venne prorogato ad ogni scadenza fino a quando nel 1992, a seguito dell’unanime sdegno conseguente alla strage di Capaci, fu esteso ai reati in grado di mettere in pericolo “l’ordine e la sicurezza pubblica”. Anche quest’ultima disposizione nacque come temporanea, con durata triennale, poi prorogata fino al maggio 2002 quando il Governo Berlusconi II° abrogò la temporaneità della norma rendendola permanente ed introducendo il 41-bis organicamente nell’ordinamento carcerario.

E’ compatibile una simile normativa con quanto dispone l’art 27 della Costituzione? Sussistono ancora oggi le ragioni che hanno dato origine alla normativa fortemente restrittiva dei diritti dei reclusi? Sono quesiti di grande rilievo ai quali possono legittimamente essere date risposte diverse. Resta il fatto che se si ritiene che la funzione della pena debba essere la rieducazione, tali misure restrittive non hanno giustificazione e appaiono come forme di accanimento nei confronti di soggetti che, pur avendo commesso reati gravissimi, mantengono, come tutti, il diritto alla tutela della persona e della dignità.

L’altra questione che riempie le cronache è quella della presenza del Presidente Ucraino con un messaggio nel corso del festival di Sanremo. Sinceramente non mi pare che il problema abbia grande importanza, né che meriti un’attenzione così alta. La solidarietà al popolo Ucraino aggredito e martoriato deve essere espressa in ogni occasione e nei modi più convincenti soprattutto fornendo i mezzi per potersi difendere al meglio e non tralasciando nessuna strada per arrivare alla pace nel pieno rispetto e con la massima tutela del popolo aggredito. E’ questo ciò che conta. Il resto è solo immagine che, se può servire, ben venga, ma se deve essere causa di divisioni e di polemiche può benissimo essere accantonata.

La mancanza completa di un’opposizione che fa politica e che riesce a manifestare con chiarezza e semplicità le sue posizioni consente al Governo di andare avanti senza inciampi e difficoltà pur in presenza di proposte oggettivamente molto poco incisive o addirittura dannose. Il Ministro Calderoli insiste nella sua proposta di autonomia differenziata. Il termine criptico in realtà nasconde il tentativo di penalizzare ulteriormente, e stavolta in modo mortale, il centro-sud del Paese. C’è da chiedersi se su ciò qualcuno abbia notizie della posizione ufficiale del PD, a sua volta tutto impegnato a fare il congresso senza peraltro discutere di proposte serie e concrete. Per quanto è noto, il solo esponente del PD che si è espresso al riguardo è stato il Presidente della Campania; l’ha fatto con chiarezza e con dati alla mano prospettando il possibile scenario di reale pericolo e che si aprirebbe se dovesse essere approvata la proposta Calderoli. Il divario di reddito pro capite tra Nord e Sud è di circa 13.000 euro; per la prima volta dall’Unità d’Italia, negli ultimi anni il Sud ha avuto un indice di natalità negativo e i giovani laureati prendono sempre più la strada delle regioni più ricche o vanno all’estero dove le opportunità di lavoro sono di gran lunga maggiori; l’ipotesi di un implemento delle risorse verso alcune regioni del Nord notevolmente l’entità di quelle disponibili per le regioni meridionali, aumentando il divario invece di ridurlo.

In un momento nel quale il numero degli occupati va aumentando al Nord, addirittura evidenziando difficoltà di reclutamento, in Campania e in Sicilia il ricorso al reddito di cittadinanza aumenta del 65%, mentre il Ministro dell’Istruzione propone la reintroduzione delle gabbie salariali. Chi deve promuovere una mobilitazione contro tutto questo? Dobbiamo aspettare di essere spinti verso le vicine coste del nord Africa prima di prendere coscienza di quanto sta accadendo? Qualcuno obietta che la sola Lombardia ha un PIL superiore all’intero mezzogiorno e a parte del centro e che non la locomotiva d’Italia può essere penalizzata dall’inefficienza e dagli sprechi del Sud. Ma a questo punto bisogna chiedersi se il mezzogiorno, depredato e svuotato delle sue ricchezze dopo l’Unità,  debba tornare indietro verso una situazione economica più drammatica che ai tempi del Regno delle due Sicilie. Sarebbe l’anticamera della rottura traumatica dell’Italia nata dal Risorgimento. E’ questo che si vuole?

La Lettura, il settimanale del Corriere della Sera, ha pubblicato un lungo articolo nel quale, dati alla mano, si spiega perché abbiamo già oggi la necessità di aver almeno 100.000 immigrati in più ogni anno per potere mantenere i livelli attuali di produzione manifatturiera. Chi si deve occupare di fare circolare questi dati e sbugiardare chi usa slogan vuoti e insignificanti che sembrano formulati  “contro gli italiani”, non già per loro. Il vuoto politico, e ancora di più quello delle idee, si paga a caro prezzo, e dovrebbe ben saperlo l’attuale opposizione che, dopo la sconfitta elettorale alle politiche, si avvia a perdere la guida del Lazio e a subire l’ennesima sconfitta in Lombardia, mentre nel PD una classe dirigente autoreferenziale non riesce neppure a intendere cosa tutto questo rappresenti oggi e per il futuro delle generazioni che si affacciano al mondo del lavoro.

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