RIFORME COSTITUZIONALI, TRA OPPORTUNITÀ E RISCHI

RIFORME COSTITUZIONALI, TRA OPPORTUNITÀ E RISCHI

di Giuseppe Gullo

Il dibattito sulle riforme costituzionali si arricchisce ogni giorno di nuovi e importanti contributi. Gli studiosi e i politici che intervengono sulla materia offrono, per lo più, spunti significativi di riflessione. Ovviamente non sempre è così. La proposta di eleggere il Sindaco d’Italia sembra più uno slogan che una reale e positiva ipotesi di modernizzazione del sistema. Accostare funzioni e responsabilità così diverse ha solo il fine di creare confusione.
Ben diverso è lo spessore della tesi sostenuta dal Prof Ainis, costituzionalista non distante dagli ambienti della politica attiva, che invita il Parlamento a non varare una riforma rigida e ingessata ma di puntare piuttosto a un sistema flessibile in condizione di adattarsi alla variabilità delle preferenze dell’elettorato. L’illustre giurista messinese riconosce che il sistema in vigore ha generato instabilità e conseguente breve durata dei Governi di cui è prova il succedersi di 68 esecutivi in 75 anni di Repubblica. Questo nonostante vi sia una sostanziale differenza tra i primi quarant’anni, nei quali la stabilità è stata garantita da formule politiche di cui era perno la DC, e gli anni successivi al 1994, quando essa è stata causata, oltre che dalle pessime leggi elettorali che si sono succedute, dalla precarietà del quadro politico nel quale hanno avuto il sopravvento formazioni politiche più o meno improvvisate, Forza Italia in primo luogo e dopo i 5Stelle, che hanno causato instabilità, unitamente all’incapacità del PDS poi PD di diventare il riferimento centrale del quadro politico.
Ineccepibile e illuminante in tal senso l’insegnamento di uno dei padri costituenti e grandissimo costituzionalista, Costantino Mortati, che rilevava che l’instabilità non era conseguenza della sostituzione delle persone ma del mutamento degli obiettivi e dei programmi politici. Il presidenzialismo nelle sue due forme conosciute e sperimentate garantisce la continuità del Governo per l’intera legislatura ma non la flessibilità del sistema, essendo di fatto quasi impossibile sostituire il presidente eletto nel caso in cui la maggioranza parlamentare e quella del corpo elettorale siano nel frattempo cambiate. Si verifica in questi casi, alquanto frequenti, una forte tensione politica che diventa sociale e produce ovviamente effetti negativi. La Francia ne è un esempio anche in questi mesi nei quali, secondo i sondaggi, la popolarità del Presidente ha toccato il minimo storico.
L’analisi è del tutto condivisibile senza remore. Manca tuttavia una proposta che superi le due anomalie che sono state giustamente evidenziate:  instabilità e rigidità. Siamo condannati quindi a navigare tra Scilla e Cariddi? Da un lato il sistema attuale, nel quale una pessima legge elettorale espropria il cittadino elettore del sacrosanto diritto di indicare chi lo debba rappresentare in Parlamento e consente ai capi dei partiti di scegliere sodali e famigli ai quali dare in premio lo scranno parlamentare a scapito della rappresentatività e della qualità. Nello stesso tempo l’esecutivo è in balia di sommovimenti parlamentari che prescindono, di solito, da diversità sull’attuazione di programmi concordati e sono invece effetto di posizionamenti tattici o personali che di politico hanno ben poco. Dall’altro versante la stabilità e la continuità di governo impersonata da un presidente eletto dal popolo col rischio che una diversa maggioranza parlamentare e popolare crei una forte tensione istituzionale e sociale.
La formula perfetta non esiste. Nessun Paese è riuscito a trovarla e ad applicarla. Il successo del presidenzialismo è fortemente legato alla presenza di una forte personalità che sia in sintonia con la maggioranza del Paese che è chiamato a governare. E’ accaduto in Francia con Mitterrand, in parte con De Gaulle e Chirac. In America, per restare agli anni a noi più vicini, con Eisenhower e forse con Reagan e Obama. In molti casi non è avvenuto e non accade tuttora con Macron e Biden.  Tuttavia la politica di quelle grandi democrazie va avanti pur in presenza di forti tensioni in Francia, e di ricorrenti problemi di  razzismo, violenza stragista e para-istituzionali per il caso Trump negli USA. In Italia siamo ancora all’anno zero.
Cari e competenti amici, sicuramente democratici e che hanno a cuore anzitutto la salvaguardia dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, mi hanno fatto osservare che il sistema presidenziale ha espresso Trump a capo della più grande potenza mondiale e, se fosse stato introdotto in Italia, nel 2018 avrebbe fatto rischiare al Paese di avere come Presidente della Repubblica Grillo o Di Maio. L’osservazione è assolutamente pertinente e, a ben pensarci, fa venire i brividi. Questi sono i “ rischi” della democrazia che può essere in crisi, può assumere connotazioni in senso verticale cercando di espropriare la base elettorale del diritto di scegliere, ma resta il migliore sistema che la storia dell’umanità conosca per governare.
Se è così, tranne che non vi sia chi possa indicare un sistema migliore, il problema è di scegliere le regole attraverso le quali essa debba prendere corpo. Ritorna in campo la proposta di adottare il sistema tedesco. Occorre però avere chiaro che questo comporterà l’introduzione di una soglia di sbarramento del 5% e la speranza che la transumanza di parlamentari, che è un malcostume italiano, non vanifichi la stabilità dei Governi. La discussione è aperta e chi ha idee e proposte è bene che si faccia avanti.

 

Fonte Foto: Di Michele Ainis – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=61559287

Commenta questo articolo

Wordpress (0)
Disqus (0 )