UN VERMINAIO SCOPERTO PER CASO

UN VERMINAIO SCOPERTO PER CASO

di Giuseppe Gullo

Chi si occupa per mestiere e per passione dei fatti che riguardano il mondo tumultuoso e oscuro della Giustizia in questi giorni ha tante ragioni di riflessione.
La prima riguarda la sentenza d’appello che ha confermato la condanna a quindici mesi di reclusione di Piercamillo Davigo per rilevazione di segreto d’ufficio. Il fatto in sé non avrebbe nulla di clamoroso se non si trattasse di uno dei magistrati simbolo del più intransigente giustizialismo che lo ha più volte indotto, incautamente, a fare dichiarazioni secondo le quali non vi erano innocenti, ma solo colpevoli che l’avevano fatta franca. Un personaggio di tale notorietà e carisma da personificare l’inflessibilità della Giustizia e l’ineluttabilità della pena vindice di malefatte, sempre e comunque, anche senza prove e riscontri certi. Il caso ha voluto che inciampasse, innocente fino a sentenza definitiva, negli ingranaggi di un sistema che riteneva fosse a sua immagine e somiglianza e che mai e poi mai avrebbe potuto essergli ostile. I veri garantisti si augurano sinceramente che il Giudice di legittimità, riconosca la sua completa innocenza anche in presenza di concordanti sentenze dei giudici di merito. I fatti nella loro storicità sono stati accertati e questo basta e avanza per stabilire il principio che non vi è nessuno al di sopra della legge, quella vera, contenuta nei codici che tutti debbono rispettare.
L’altra questione al centro dell’attenzione è quella relativa allo scandalo dossieraggio. Nell’Italia dei misteri, delle inchieste mai completamente concluse e di responsabili mai o quasi individuati, non dovrebbe sorprendere l’emersione di un ennesimo “verminaio”. Meraviglia invece oltre che preoccupare. Perché? L’indagine scaturisce dalla denuncia, presentata dal Ministro della Difesa alla Procura di Roma, nella quale l’uomo politico ha chiesto che venisse accertata l’origine di informazioni riservate, pubblicate da un quotidiano, relative al suo patrimonio personale e a quello dell’azienda di cui era titolare prima di essere chiamato a ricoprire incarichi di Governo.
È questa una prima straordinaria novità. Un membro del Governo con altissime responsabilità come capo del Dicastero dal quale dipendono le Forze Armate e i Carabinieri, chiede accertamenti su notizie riservate che lo riguardano rese pubbliche dalla stampa e quindi potenzialmente costituenti notizie di reato. Nel caso, infatti, l’azione penale, obbligatoria per legge (art. 112 Costituzione), non è stata promossa dal magistrato dell’accusa, per cui il meccanismo abituale è stato invertito. È stata la politica, tramite un suo esponente di primo piano, a chiedere di verificare se notizie rese pubbliche sulla stampa fossero state acquisite in modo legale e se la loro diffusione fosse avvenuta nel rispetto delle norme che garantiscono il diritto di informazione e quello dei cittadini, tutti, alla riservatezza personale, familiare e patrimoniale. Se il Ministro Crosetto non avesse chiesto alla Procura di Roma di indagare con ogni probabilità nessuno avrebbe fatto nulla.
Ma vi è molto di più. Secondo la ricostruzione dei fatti del Corriere della Sera l’inchiesta nata dalla denuncia di Crosetto, ottobre 2022, era sul punto di essere archiviata. La sostituta incaricata dell’indagine aveva accertato che le informazioni pubblicate dal quotidiano Domani erano state acquisite dal data base della Direzione Nazionale Antimafia su input del tenente della Gdf Striano. Questa essendo la risposta che poteva essere data al quesito posto dal Ministro Crosetto, per quel PM, non vi era ragione di proseguire l’inchiesta.
Qual è stato “l’imprevisto” che ha impedito che tutto si risolvesse senza clamore e senza conseguenze? Striano, invece di avvalersi della facoltà di non rispondere o del classico non ricordo, ha detto che il suo operato era stato sempre autorizzato dal magistrato Laudati, delegato alle Segnalazione delle Operazioni Sospette (SOS). Ed è proprio da questa dichiarazione che scatta la competenza di Perugia, dato il coinvolgimento di un magistrato in servizio a Roma, per cui un caso che sembrava circoscritto fa scoprire un enorme verminaio, come ha dichiarato il Procuratore di Perugia. Resta incomprensibile come possa accadere che un PM non si sia fatto prendere dal dubbio che un accesso a dati sensibili riguardanti un ministro della Repubblica, acquisiti attraverso una procedura riservatissima, fosse un segnale sospetto di una prassi illegale. È quindi solo per caso che è stata sollevata di qualche millimetro la grande coltre che copre il fiume carsico degli spioni, dei ricattatori, degli affaristi e, chissà, delle trame trasversali che logorano le fondamenta delle Istituzioni.
A questo punto, la Procura di Roma correttamente si è spogliata del fascicolo e l’ha trasmesso  a Perugia. Una piccola procura ha ancora una volta la titolarità di un’inchiesta importantissima che al momento vede solo pochi indagati, ma che potenzialmente ha la stessa carica esplosiva del tritolo. Accade a questo punto accade un altro fatto alquanto anomalo. I due procuratori titolari degli uffici che hanno in mano le carte chiedono di essere sentiti dalla Commissione parlamentare antimafia, dal Copasir (la Commissione Parlamentare che controlla i servizi segreti) e dal CSM. Anche in questo caso vi è un’inversione della prassi consolidata. Melillo e Cantone sollecitano la politica a conoscere lo stato dell’indagine cui ha dato origine un membro del Governo. Logica avrebbe voluto che fossero le competenti commissioni parlamentari a chiedere di saperne di più.
E perché la Commissione antimafia e il Copasir? È legittimo pensare che vi sia un coinvolgimento dei servizi o quanto meno che essi abbiano avuto un ruolo nella vicenda. E l’antimafia? Difficile rispondere tranne a considerare che magistrati del livello e dell’esperienza di Melillo e Cantone non sbagliano sicuramente nell’individuare i destinatari delle loro comunicazioni. Il CSM da parte sua non interviene ma viene sollecitato dai due procuratori a convocarli per essere sentiti. Nel frattempo l’unico magistrato al momento indagato andrà in pensione tra pochi giorni, con l’ovvia conseguenza che il CSM non potrà prendere alcun provvedimento nei suoi confronti.
Le coincidenze temporali sono come le congiunzioni astrali, incomprensibili ai più ma chiare a chi sa leggere le stelle. Cosa c’è da aspettarsi? Poco, molto poco per quanto riguarda la ricerca della verità. Tutti i precedenti confermano la previsione di un’altra gigantesca bolla che, come le altre, si sgonfierà magari lasciando sul campo qualche ferito collocato molto indietro nella catena di comando, mentre i corposi dossier che sono stati ben documentati da oltre trentamila file scaricati, che valgono molto più di quello che può pensare un comune cittadino, saranno ben conservati per essere utilizzati al momento opportuno.
Una considerazione va fatta, a giusto riconoscimento della serietà e della professionalità delle Istituzioni che hanno dimostrato di fare il loro dovere lealmente. I dati delle operazioni sospette provengono dal sistema bancario ed in particolare dalla Banca d’Italia. Secondo quanto è emerso dalle audizioni niente è venuto fuori da Palazzo Koch. Un po’ d’aria fresca e pulita tra smog e inquinamenti. È qualcosa da cui prendere le mosse per cambiare realmente, se si ha la volontà di farlo.

 

Fonte Foto: PixabaymcmurryjulieLicenza

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