DEMONIZZARE L’AVVERSARIO NON SERVE ALLA DEMOCRAZIA

DEMONIZZARE L’AVVERSARIO NON SERVE ALLA DEMOCRAZIA

di Giuseppe Gullo

     Solo chi non ha memoria e conoscenza, o finge di non averla, della storia politica recente del nostro Paese, può meravigliarsi leggendo le dichiarazioni fatte dalla Segretaria del PD davanti ad una platea internazionale: ”La democrazia e la libertà di espressione sono a rischio quando l’estrema destra è al governo”. Questo il contenuto testuale di ciò che Schlein ha detto nel suo intervento pronunciato ad Amsterdam in occasione del Congresso del PSE. Le parole sono pietre (Carlo Levi) e diventano macigni allorché vengono pronunciate in una circostanza istituzionale davanti ai rappresentanti di tutti i Partiti socialisti europei. Non è un’affermazione nuova, quanto piuttosto l’evidente tentativo di demonizzare l’avversario politico attribuendogli la più grave responsabilità che possa essere contestata in democrazia e cioè la volontà di imbavagliare il dissenso e di lavorare per creare un regime non democratico.
Il PCI è stato maestro in questo gioco perverso. Il PSI, dopo la svolta riformista impressa da Craxi, incominciò a prendere le distanze dalla politica del PCI sia in campo internazionale, sia in quello interno. Per ravvivare la memoria, è opportuno ricordare che proprio in quegli anni, dopo le elezioni politiche del 1976 nelle quali il PCI ottenne il suo migliore risultato di sempre, si aprì la breve stagione della solidarietà nazionale col Governo Andreotti III che ottenne la ”non sfiducia” del Parlamento per l’astensione del PCI e del PSI oltre che degli altri Partiti di centro.
     I successivi Governi guidati da Andreotti andarono avanti su questa strada fino alle elezioni del 1979 che segnarono un forte regresso dei Comunisti, l’esaurimento della solidarietà nazionale e la fine della prospettiva del c. d. “Compromesso storico“ tra democristiani e comunisti. Il PCI tornò all’opposizione parlamentare pur avendo avuto riconosciuta la possibilità di indicare il Presidente della Camera, terza carica dello Stato, ricoperta da Ingrao nella precedente legislatura e assegnata dopo il 1979 a Nilde Iotti.
     In quel periodo segnato da eventi drammatici e ancora per molti aspetti oscuri, che ebbero nel sequestro e nell’omicidio di Moro il momento di massima tensione, il PCI si oppose al tentativo di Craxi di formare un nuovo Governo negando l’astensione che aveva dato ad Andreotti e collocandosi all’opposizione. Non solo. Incominciò ad affermare, prima velatamente poi sempre più apertamente, che il nuovo corso del leader socialista era contrario agli interessi dei lavoratori e della sinistra e pericoloso per la Democrazia. Ricordate le famose vignette di Forattini su Repubblica che rappresentavano Craxi con gli stivaloni, la camicia nera e il fez, con la postura del Dittatore intento ad attaccare i caposaldi democratici del Paese? La Repubblica fondata e diretta da Scalfari proprio nel 1976, è stata per decenni l’anima critica del PCI, la sua espressione più radicale e intellettuale tanto da apparire come il vero organo ufficiale di quel Partito. Il PCI, che era retto dalle regole rigide del centralismo democratico e trattava i dissidenti espellendoli e accusandoli di fare il gioco delle forze reazionarie, imputava alle altre forze politiche di non essere democratiche!
     Emblematica e significativa la vicenda dell’ammissione del Partito post-comunista all’Internazionale Socialista. Il PSI faceva parte da sempre dell’organizzazione internazionale dei Partiti socialisti e Craxi ne è stato a lungo vicepresidente e influente componente dell’esecutivo. Il PDS erede del PCI e, dopo la caduta del muro di Berlino e l’implosione dell’Urss, non aveva collocazione internazionale e aspirava a essere ammesso tra i membri dell’Internazionale Socialista. Non sarebbe stato possibile senza il consenso del PSI che venne dato nella speranza che potesse andare avanti positivamente il processo di avvicinamento dei post-comunisti italiani, per decenni membri importanti dell’Internazionale comunista, verso posizioni socialdemocratiche.
      La risposta politica a questo atto di apertura, voluto dal PSI nonostante la feroce opposizione del PCI al Governo presieduto da Craxi e il tentativo di farlo cadere con il referendum sulla scala mobile, fu il pieno appoggio all’azione demolitrice della magistratura milanese con la speranza, effimera, che la gioiosa macchina da guerra di Occhetto si insediasse in pompa magna a Palazzo Chigi.
      In tempi più ravvicinati, dopo che la discesa in campo di Berlusconi e lo sdoganamento della destra post-fascista avevano sovvertito l’esito di una vicenda il cui finale sembrava già scritto, l’incredula opposizione, guidata dagli sconfitti post comunisti, ha iniziato a proiettare il film di pura fantasia del presunto pericolo che il Cavaliere e i suoi accoliti avrebbero rappresentato per la Democrazia. Berlusconi, da Presidente del Consiglio e leader della coalizione vincente, è stato certamente un politico sui generis, fuori dagli schemi, talvolta goliarda nelle foto ufficiali, talaltra eccessivo e inopportuno come in occasione della visita di Stato di Gheddafi a Roma e del lettone offerto a Putin a Palazzo Grazioli, per altro sempre attento alla tutela dell’impero economico che aveva costruito ma sicuramente non demolitore della Democrazia. Un Presidente del Consiglio affidato ai servizi sociali quando mai si è visto in Italia? Per non dire di quando ricevette a mezzo stampa la notifica di essere indagato mentre presiedeva a Napoli un forum internazionale?
     È il solito spartito, che prevede che l’avversario venga demonizzato e accusato di non essere democratico solo per essere di diverso orientamento politico rispetto a coloro che si sono autoattribuiti il ruolo di vestali della Democrazia. E tutto questo per coprire maldestramente il vuoto politico di programmi, proposte e soluzioni dei problemi del Paese.
     Anche coloro che non hanno nulla a che spartire con i partiti oggi al Governo, come chi scrive, hanno molte ragioni per non condividere diversi punti della sua azione. In primis il livello medio-basso dei suoi componenti, non tanto perché composto da non laureati, tra i quali spicca invece per la sua capacità la Presidente del Consiglio, quanto per l’assoluta ignoranza dei dossier e per lo scarso impegno profuso nell’attività alla quale sono chiamati. Ma da questo a contestare fondatamente l’obiettivo di limitare le libertà fondamentali ce ne corre. Su questa strada e su quella delle offese personali non si va da nessuna parte che non sia l’aumento del consenso di chi viene offeso e accusato di volontà fantasiose. Il risultato è talmente sconfortante da far pensare che l’autolesionismo dell’attuale opposizione non abbia limiti.

Fonte Foto: Wikimedia CommonsAudiovisual ServiceLicenza

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