Gli “utili idioti” sono ritornati?

Gli “utili idioti” sono ritornati?

Etica della convinzione e Etica della responsabilità

di Pietro Di Muccio de QuattroDirettore emerito del Senato della Repubblica, Ph.D. dottrine e istituzioni politiche

Forse la generazione nata a cavallo del favoloso biennio 1989-1991 (che celebra la vittoria della libertà: crollo del muro di Berlino e del comunismo bolscevico) ha soltanto sentito parlare degli “utili idioti”, una categoria di persone fiorita dopo la Rivoluzione sovietica.

L’espressione, pur attribuita a Lenin o Stalin o ad altri ancora, pare d’incerta origine. Tuttavia il significato è meno incerto: “Persona che senza rendersene conto porta a qualcuno un vantaggio indiretto. In origine era usato dagli anticomunisti per definire le persone che fiancheggiavano le sinistre in modo ingenuo, per motivi ideali, senza capirne la reale portata. La paternità della locuzione è però attribuita a Stalin, che sembra definisse così gli intellettuali del mondo occidentale che simpatizzavano per il partito comunista, facendo indirettamente molti proseliti” (dizionari.corriere.it).

Gli utili idioti se ne stavano nel mondo libero, cioè nelle nazioni senza regime comunista. In pensieri, parole, opere, omissioni, difendevano il comunismo, Urss e Cina in primis, e ne giustificavano perfino le più ripugnanti nefandezze, usando l’argomento che il fine escatologico del collettivismo imponga l’impiego di tutti i mezzi necessari a conseguirlo. Gli utili idioti in senso proprio non comprendevano gli idioti in mala fede. Costoro sapevano di appoggiare il nemico impunemente, al riparo della libertà che di fatto mostravano di disprezzare per quanto ne godevano. Gli utili idioti in buona fede, per così dire, avevano contezza di parteggiare per il nemico ma senza l’intenzione di appoggiarlo obliquamente, bensì per convinzione sebbene infondata. Quale condotta, degli uni o degli altri, fosse più idiotamente utile al nemico politico sembra ormai questione storicamente superata, riguardo a questo.

L’utile idiota però non costituisce una categoria individuabile soltanto nel periodo successivo alle rivoluzioni comuniste, bensì un tipo umano universale, sempre presente in epoca storica, il quale erompe nel contesto di grandi sconvolgimenti e in tempi di guerra. Comunque, resta che lo sviluppo dei mezzi di comunicazione nel XX e XXI secolo ne ha esaltato l’impatto sociale. Nato e cresciuto in relazione all’avvento dei regimi comunisti, il normotipo dell’utile idiota è riscontrabile anche in connessione della guerra, incomprensibile e ingiustificabile, scatenata dalla Russia contro l’Ucraina.

Logicamente, infatti, l’utile idiota della libertà non è neppure concepibile. Mentre esiste eccome l’utile idiota dei regimi illiberali, una persona che, illudendosi di rappresentare la virtù contro la degenerazione del sistema liberale invece mal compreso oppure incompreso del tutto, lo mina nelle fondamenta perché reagisce alle conseguenze della responsabilità implicata dalla libertà e le rifiuta in nome dell’etica della convinzione. Sennonché, come scolpì Max Weber nella mente dei pensatori, l’etica della convinzione e l’etica della responsabilità sono congiunte e complete soltanto nel “vero uomo”, nell’uomo “maturo“, solo “quello che può avere la vocazione alla politica” (corsivi di Weber stesso).

A ben vedere, l’utile idiota nutre lui stesso il convincimento di salvarsi l’anima mediante l’esercizio dell’etica della convinzione mentre si procura “un danno e un discredito che si protraggono per generazioni”. Al sedicente politico che crede di tagliare la testa al toro della violenza e della forza adoperando solo l’etica della convinzione “io (Max Weber) rispondo apertamente che in primo luogo voglio indagare qual sostanza interiore vi sia dietro questa etica della convinzione, e ho l’impressione che in nove casi su dieci si tratti di capi scarichi i quali non sentono realmente ciò che assumono su di sé, ma si inebriano di sensazioni romantiche” (Max Weber, Il lavoro intellettuale come professione, Einaudi, 1967).

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L’utile idiota, dietro la maschera patinata dell’etica della convinzione, nasconde l’adesione di fatto, in tutto o in parte, alle ideologie di chi conculca in teoria e in pratica la libertà, madre e figlia dell’etica della responsabilità. In quanto tali, gli utili idioti costituirebbero di per sé un genere di persone tra il ridicolo ed il patetico se non fossero purtroppo degli intellettuali di varia estrazione, talvolta inutilmente perspicaci, sebbene meno ingenui e rozzi dell’utile idiota comune, alla buona.

Durante la guerra fredda, riferendosi a loro, Enzo Bettiza scrisse mirabilmente: “Quel cinismo d’élite, avvolto in formule pretenziose e farraginose mutuate da Marx, Hegel, Heidegger, quella specie di tragico opportunismo intellettuale che sacrificava la coscienza storica all’idolatria della Storia, era al tempo stesso più franco e più ipocrita della rudimentale precettistica d’apparato…Erano, oltreché utili, anche intelligenti. Sapevano di rappresentare il rovescio vulnerabile e autodistruttivo dell’Europa liberale, e appunto perciò, quasi fortificati da una loro lucida ascesi masochistica, volevano essere presi in considerazione come ‘maîtres à penser’ dalla stessa gerarchia comunista: volevano diventare non solo gli ausiliari, ma i consiglieri del tiranno” (Enzo Bettiza, Prefazione a Raymond Aron, L’oppio degli intellettuali, Editoriale Nuova, 1978, corsivi non del testo).

Quando “il professionista della parola” (Aron) e l’egghead (testa d’uovo) diventano “intellettuali dalla mente aggrovigliata” (Bettiza), allora assumono la veste e la funzione di utili idioti di governanti paranoici e regimi dittatoriali.

Raymond Aron cita a riguardo la definizione di Louis Bromfield, esemplare sotto ogni profilo: “Un intellettuale è una persona dalle false pretese intellettuali, spesso un professore o il protetto di un professore, di solito un superficiale. Esageratamente emotivo e femminile nelle sue reazioni a qualunque problema. Arrogante, amareggiato, pieno di vanità e di disprezzo per l’esperienza delle persone più sensate e più capaci. Sostanzialmente confuso quanto a modo di pensare, immerso in un insieme di sentimentalismo e di evangelismo violento, partigiano dottrinario del socialismo e del liberalismo dell’Europa Centrale, in opposizione alle idee greco-franco-americane di democrazia e liberalismo. Educato alla filosofia ormai fuori moda di Nietzsche, filosofia che spesso lo porta alla prigione e alla vergogna. Pedante pieno di sé, portato a considerare una questione sotto tutti i punti di vista, fino al punto di non capirci niente. Un cuore sanguinante ma anemico” (Raymond Aron, L’oppio degli intellettuali, citato).

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Mentre scorrono le immagini agghiaccianti delle brutalità, dei crimini, delle distruzioni e delle crudeli stragi di civili ucraini perpetrate ogni giorno da militari russi senza ragione e senza pietà alla stregua dei peggiori nazisti, gli uomini comuni guardano inorriditi e i “professionisti della parola” sfoggiano garruli l’impudenza  irresponsabile e compiaciuta di chi sdottoreggia  come in un gioco di guerra anziché compenetrarsi del dolore e della tragedia della guerra vera che gli aggrediti incolpevoli, gli Ucraini, combattono eroicamente per difendersi dai colpevoli aggressori, i Russi.

È disgustoso lo spettacolo che offrono i tanti utili idioti di Putin, pedanti, opportunisti, pretenziosi, assertivi, che ardiscono persino prescrivere al popolo ucraino le regole morali e politiche di condotta (“Dovrebbe fare questo! Non dovrebbe fare quello!”), mentre soffre in silenzio, invoca aiuto, muore armi in pugno lottando per mantenersi libero e sovrano.

Forse turbati, ma con distacco, accomodati sulle poltrone dei talkshow, questi utili idioti di Putin sembrano partecipare bovinamente della serenità del saggio messa da Lucrezio in versi immortali: “È dolce, quando i tempestosi nembi sconvolgono le distese dei mari, guardare da terra gli altri annaspare nella tempesta; non perché il loro tormento procuri un piacevole diletto, bensì perché allieta scorgere da quali dolori sei al riparo. Dolce è pure contemplare gli aspri scontri bellici delle truppe schierate in battaglia, senza correrne i pericoli” (De rerum natura, II, 1-6).

La guerra trasformata in tragico spettacolo! Dove gli attori costretti a recitarlo muoiono davvero. Gli spettatori, no. La platea assiste al dramma muta e commossa. I palchi invece, gremiti di vocianti intenditori, commentano l’effusione di sangue vivo innocente come sgorgasse per finzione scenica.

Mentre i militari e i civili ucraini combattono e muoiono attenendosi scrupolosamente all’etica della responsabilità per conservarsi in libertà e democrazia, “compito che può essere risolto attraverso la politica e soltanto con la forza” (Weber), gli utili idioti di Putin praticano semplicemente l’etica della convinzione, “anelando alla salute della propria anima e alla salvezza di quella altrui” (Weber).

Pietro Di Muccio de Quattro – Direttore emerito del Senato della Repubblica, Ph.D. dottrine e istituzioni politiche

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