Il filo rosso Palermo-Catanzaro e lo sciopero dei magistrati

Il filo rosso Palermo-Catanzaro e lo sciopero dei magistrati

di Giuseppe Gullo

Le nomine di peso si succedono nel CSM più chiacchierato della storia repubblicana, ormai a fine mandato. Dopo le designazioni dei Procuratori di Roma e Milano è arrivata quella del Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, che vedeva in lizza il Procuratore di Catanzaro, Gratteri, l’aggiunto della DNA Russo e il Procuratore di Napoli Melillo. Il CSM al primo scrutinio, con la maggioranza assoluta comprensiva dei voti del PG e del Primo Presidente della Cassazione, ha designato Melillo. Di particolare rilievo è stato l’intervento del dr. Di Matteo a favore di Gratteri. Di Matteo viene dalla DNA, ma anche dalla Procura di Palermo nella quale è stato il PM del processo della c.d. trattativa Stato-Mafia, conclusosi con l’assoluzione con formula ampia degli imputati. Le sue affermazioni meritano pertanto un’attenzione speciale.

Egli ha sostenuto che a trent’anni dalla sua costituzione la DNA ha sostanzialmente fallito i suoi obiettivi che erano, nel disegno del Legislatore, quelli di rappresentare il motore del contrasto al fenomeno mafioso in tutto il Paese. Così non è stato e non è, a suo giudizio, in quanto essa si limita ad avere un ruolo limitato a dirimere i contrasti di competenze tra le diverse procure distrettuali.

In sostanza, un ruolo secondario e tutt’altro che propulsivo, come sarebbe dovuto essere. Un membro del CSM che proviene dall’organico di quell’ufficio che sostiene quanto riferito, senza peraltro che vi sia stata, per quanto ne so, alcuna precisazione o smentita, qualche preoccupazione dovrebbe farla nascere in coloro che hanno la responsabilità istituzionale di garantire il buon funzionamento degli uffici giudiziari secondo quanto disposto dalle leggi istitutive.

Aggiunge poi Di Matteo che solo Gratteri sarebbe stato in grado di modificare la situazione e dare alla DNA l’impulso e l’iniziativa necessarie per avere quel ruolo che la legge le assegna. Giudizio del tutto legittimo e altrettanto personale, basato soltanto, credo, sulla conoscenza del candidato e sulle sue capacità mediatiche che ne hanno fatto un frequentatore abituale di programmi televisivi, instancabile prefatore di libri, compreso quello di dichiarati “no vax” e sostenitori del grande complotto delle multinazionali farmaceutiche nella gestione della pandemia.

Non solo. Di Matteo si spinge oltre e fa un parallelo tra l’attività investigativa e di contrasto alla “ndrangheta” promossa dalla Procura di Catanzaro con quella svolta negli anni ‘80 da Falcone a Palermo. Gratteri vero erede di Falcone e come quest’ultimo esposto al rischio dell’incolumità personale se delegittimato, come potrebbe apparire la sua mancata designazione. E’ una tesi allo stesso tempo gravida di condizionamenti psicologici quanto ardita sul piano dell’accostamento delle realtà alle quali fa riferimento.

E quindi, Catanzaro oggi come la Palermo degli anni ‘80 e seguenti? Le istruttorie condotte da Falcone e il nuovo metodo da lui introdotto come le inchieste in corso nel capoluogo calabrese?

Mi sembra fantapolitica giudiziaria solo a riflettere su “cosa nostra” e i suoi capi, i primi pentiti e il mondo sommerso che n’è venuto fuori e quello che sappiamo dei processi in corso a Catanzaro. Fatto sta che, dopo due giorni dalla mancata designazione di Gratteri, tutta la stampa ha dato notizia con rilievo al fatto che la “ndrangheta” stava preparando un attentato contro il Procuratore di Catanzaro, e ciò sulla base di un’informativa dei servizi divenuta all’improvviso pubblica.

Alcune strane coincidenze lasciano interdetti e fanno riflettere. Azzardare paragoni fuori dalla realtà ed evocare pericoli incombenti che diventano notizie mediatiche e si materializzano proprio un attimo dopo essere invocate. L’alternativa è tra il possesso di poteri divinatori e una strategia concordata per fare pressioni finalizzate a ottenere determinati obiettivi, tanto più se le dichiarazioni provengono da un membro togato del CSM per molti anni PM a Palermo, e che ritornerà tra qualche mese alla DNA come sostituto.

Il fatto è che ognuno utilizza ogni strumento in suo possesso per sostenere il proprio candidato prospettando scenari probabilistici inquietanti e oscuri, che non tengono in nessun conto la scelta migliore bensì quella funzionale alla cordata della quale fa parte.

Nelle stesse ore l’ANM si prepara alla giornata di astensione dalla giurisdizione contro la riforma Cartabia. Il testo approvato alla Camera è un compromesso al ribasso tra posizioni molto diverse all’interno della multiforme maggioranza che sostiene il Governo. Il risultato è deludente e non affronta seriamente nessuno dei nodi mille volte individuati come ostacolo per un corretto funzionamento di una macchina che appare a tutti col motore ingrippato. Eppure i magistrati sono talmente allarmati da indire un’astensione, come avevano a suo tempo fatto contro l’odiato cavaliere.

Temono in particolare che il fascicolo personale informatico nel quale confluiranno tutte le notizie relative agli esiti dei provvedimenti assunti dai magistrati, possa costituire una forma di indebita valutazione del loro operato. In pratica, si sostiene che non dovrebbe avere alcuna importanza se in un anno vi sono tantissimi provvedimenti cautelari dichiarati illegittimi con conseguente pagamento d’indennità, se inchieste causatrici di danni per miliardi e decenni di gogna mediatica sono poi dichiarate infondate ( MPS ,Bagnoli e ENI per esempio), se il principio costituzionale di innocenza viene continuamente violato, se i ritardi e le lungaggini dei processi diventano un dato costante con la conseguenza del pagamento di milioni di euro per la violazione della legge Pinto.

Non significa nulla avere sei milioni di processi pendenti? Non ha importanza che 250 magistrati non svolgano funzioni giurisdizionali? Il pericolo, secondo l’ANM, è l’efficientismo e la burocratizzazione. E’ meglio l’inefficienza e l’arbitrio? Forse coglie nel segno chi sostiene che la ragione vera dell’astensione è il rifiuto di accettare tutto ciò che non proviene dall’ANM, che è il vero e proprio contropotere che non intende rientrare nell’alveo delle funzioni assegnate dalla legge all’Ordine giudiziario.

Solo il voto referendario potrebbe segnare l’inversione di rotta da tante parti auspicata, ma temo che i nostri cittadini non abbiano ben compreso quale sia la posta in gioco.

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