I PROSSIMI VERTICI UE ALLA SFIDA DELLE DUE GUERRE IN CORSO

I PROSSIMI VERTICI UE ALLA SFIDA DELLE DUE GUERRE IN CORSO

di Giuseppe Gullo

È molto probabile, se dalle urne non verrà fuori un imprevisto terremoto, che Von der Leyen venga confermata al vertice della UE per un secondo mandato. Se dovesse accadere sarebbe una novità assoluta. Nessuno dei Presidenti è stato mai riconfermato né si è candidato per un secondo mandato. Non è avvenuto anche quando la carica è stata ricoperta da personalità politiche di grande livello riconosciuto pressoché unanimemente, come nel caso di Jacques Delors, uno dei padri dell’Unione. Questa regola non scritta potrebbe essere modificata dall’esponente della CDU candidata con successo cinque anni fa dalla Cancelliera Angela Merkel.
Occorre dire con obiettività, nel giudicare la sua presidenza, che Von der Leyen nel corso del suo mandato ha dovuto affrontare due eventi eccezionali che hanno segnato interamente il quinquennio: la pandemia e la guerra in Ucraina, quest’ultima in pieno svolgimento già da due anni. La Presidente uscente ha navigato nel mare forza dieci a seguito della tempesta perfetta con grande risolutezza e decisione al fianco degli alleati occidentali e in primo luogo degli Stati Uniti, relativamente all’aggressione russa in Ucraina, trasmettendo un’immagine positiva senza sbavature e tentennamenti. Non era facile e non lo è tuttora, soprattutto se si tiene conto delle “articolazioni” all’interno del Parlamento di Strasburgo e della particolare posizione della sua nazione di provenienza, la Germania, che ha pagato il conto più alto in termini economici a causa della sua grande dipendenza energetica nei confronti della Russia. Sulla pandemia il discorso è diverso e più complesso anche per l’insufficienza dei dati di cui disponiamo. Sicuramente è stata vincente la scelta di puntare sui vaccini e sulla loro diffusione capillare in tutto il territorio dell’Unione. Forse qualche perplessità rimane sulla scelta dei fornitori e sulla possibilità di spendere di meno. In quei momenti, tuttavia, il problema della spesa è stato considerato secondario davanti allo spettro, molto concreto, di milioni di morti.
Resta la fase della gestione dei fondi del PNRR. per i quali è di questi giorni la notizia che l’Italia è la prima, ad oggi, nell’attuazione dei progetti. Ottima e confortante notizia che tutti ci auguriamo possa restare tale fino alla conclusione del programma. L’idea che potrebbe essere la Von der Leyen a gestire le ulteriori fasi del Piano probabilmente ha avuto un certo peso nella proposta di riconferma. I soldi in ballo sono moltissimi e abbiamo tutti ben presenti le centinaia di milioni di euro sperperati, in casa nostra, per i famigerati banchi con le rotelle e per le mascherine made in China. È ovvio che le due calamità che si sono susseguite negli ultimi quattro anni hanno impedito alla Commissione di occuparsi in modo produttivo dello sviluppo dell’Unione al fine di consentire alla realtà sovranazionale di assumere una sua precisa identità, soprattutto in alcuni settori strategici. Se ne parla opportunamente adesso soprattutto con riferimento alla necessità di costituire un esercito europeo, di cui si è avvertita l’assenza specialmente nel momento in cui la guerra ha colpito il cuore del vecchio Continente.
Nella conferenza stampa tenuta a Berlino nella sede della CDU alla presenza del leader del Partito tedesco, la Presidente ha parlato apertamente di un Commissario alla Difesa con l’obiettivo di costituire una realtà autonoma europea in un settore nel quale si è verificata la totale dipendenza dall’estero e dalle decisioni dei singoli Paesi. Anche per quanto riguardo la svolta Green Von der Leyen ha moderato i toni precedentemente usati introducendo una maggiore tolleranza, come peraltro aveva già fatto riguardo all’uso di prodotti per l’agricoltura. Nulla è scontato poiché gli assetti dipenderanno dall’esito elettorale e la maggioranza che cinque anni fa la elesse Presidente fu di soli nove voti oltre il quorum.
La scelta della ricandidatura di Von der Leyen è anche un chiaro sintomo della mancanza di un leader europeo riconosciuto che possa ottenere i consensi necessari per essere eletto. In questa direzione si era mosso per tempo il Presidente francese Macron candidando Mario Draghi, il cui prestigio in Europa e in America è indiscusso. Adesso la candidatura dell’ex Presidente della BCE è più orientata verso la Presidenza del Consiglio, secondo vertice della UE; il binomio Von der Leyen-Draghi, con Lagarde alla BCE, potrebbe essere il prossimo assetto dell’UE per tentare di portare l’Istituzione europea verso una maggiore integrazione soprattutto in alcuni settori di grande rilievo. Prova ne è la relazione che Draghi ha tenuto davanti ai Ministri dell’economia dell’Unione. Dai resoconti risulta come l’ex Presidente della BCE abbia sottolineato l’urgenza di uno sforzo economico eccezionale per procedere sulla strada di una effettiva e ampia integrazione unita alla volontà di superare veti e pregiudizi.
La soluzione che viene prospettata è nell’assoluto segno della continuità e nello stesso tempo della garanzia di una gestione equilibrata in una situazione che resta di grandissima difficoltà. Si ragiona già di Europa dopo la fine delle guerre. C’è qualcuno che in questo momento si sentirebbe di affermare che siamo veramente alla vigilia della conclusione dei conflitti? Scorrendo l’ampia pubblicistica intorno allo stato delle guerre c’è da essere pessimisti sulla possibilità che esse si concludano entro l’anno. Israele non intende recedere dalla sua posizione intransigente nonostante le pressioni politiche dei Paesi che la sostengono, e dell’America in primo luogo, che ha già posto il veto all’ONU su tre risoluzioni che imponevano la tregua. Sul versante del conflitto israelo-palestinese, peraltro, si è aperta una discussione sulle condizioni nelle quali si trova a operare lo Stato ebraico dopo la caduta del mito della sua invulnerabilità rispetto ad attacchi militari convenzionali.
Il Corriere con un editoriale di Galli della Loggia, qualche giorno fa, ha posto il problema dell’impossibilità per Israele di accettare una soluzione nella quale non sia contenuto l’impegno solenne da parte della comunità internazionale occidentale della garanzia della sua sicurezza equiparando il suo territorio a quello di uno Stato membro dell’alleanza nordatlantica. Se così non fosse, si chiede Galli, come potrebbe lo Stato ebraico accettare di essere circondato da Paesi che puntano a distruggerlo? Una seconda domanda è relativa ai consistenti finanziamenti occidentali in favore dei profughi palestinesi che riguardano oggi cinque milioni di persone, essendo stati considerati tali coloro che hanno una discendenza anche remota essendo considerato «profugo palestinese» con relativo diritto all’assistenza da parte delle Nazioni Unite anche chi, ipotizziamo, abita tranquillamente con la propria famiglia in un appartamento di Beirut o di Amman. Domande alle quali non è possibile dare risposte generiche e soluzioni che chi ha subito l’atroce attacco del 7 ottobre non potrebbe mai accettare.
Su fronte ucraino, dopo due anni dall’aggressione russa, la guerra continua a fare morti e distruzione mentre il regime del Cremlino sembra in condizione di affrontare tutte le bufere compresa quella dell’eliminazione del dissidente Navalny che ha suscitato la giusta reazione del mondo democratico. La recente proposta del Presidente francese dell’invio di truppe Nato e/o Onu in Ucraina dà la misura della preoccupazione sull’esito del conflitto e del pericolo di una sua estensione.
Forse, alla luce di quanto accade, pensare all’Europa del dopo guerre potrebbe essere solo un  modo per non affrontare subito i problemi di cosa fare prima a guerre in corso.

 

Fonte Foto: Wikimedia CommonsEuropean Parliament (Flickr)CC BY 4.0 Deed

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