IL TERZO POLO

IL TERZO POLO

di Pippo Rao

Dal 1994 l’Italia attende inutilmente che una forza autenticamente liberale sia presente in Parlamento; ”Democrazia liberale“ – la cui recentissima costituzione aveva alimentato questa speranza nella prospettiva di elezioni alla scadenza naturale della Legislatura – ha doverosamente adempiuto al compito istituzionale di depositare il suo simbolo al Viminale, ma non potrà proporre agli elettori proprie liste perché non ha avuto il tempo per diffondersi su tutto il territorio nazionale e si è rivelato impossibile raccogliere in tutt’Italia e in pieno agosto le decine di migliaia di firme imposte da una normativa elettorale che tutela e privilegia i partiti che ci sono già, e invece discrimina e penalizza i partiti di nuova formazione.

Avevamo quindi sperato che si potesse in realizzare un compromesso fra le tre tradizionali culture della società occidentale – liberale, popolare e socialista – per fare nascere un polo sostanzialmente liberaldemocratico che proponesse una visione alternativa rispetto alle contrapposte coalizioni di destra e di sinistra e a quel che resta del populismo grillino; purtroppo, le condizioni per la realizzazione di questo progetto, che avrebbe comportato la comparsa del simbolo di Democrazia Liberale unito a quello di altro partito esente dall’obbligo delle firme, non si sono realizzate, sia per la sciagurata tendenza dei liberali a separarsi piuttosto che a unirsi, ma forse anche per qualche egoistico interesse di chi ne avvertiva la pericolosità per la leggenda del liberalismo rivendicato (ma non praticato) un po’ da tutti, che è stata propinata agli italiani negli ultimi trent’anni.

Il rifiuto di inserire un qualche simbolo liberale nella Lista Renzi-Calenda, che ora si propone come “terzo polo”, rende evidente che non si tratta di una vera e propria lista liberaldemocratica, nel momento in cui mette insieme alcune sfumature del pensiero popolare e socialista ed è impersonata da leader che affondano la loro tradizione culturale nel popolarismo cattolico e nell’azionismo liberalsocialista, creando un’alleanza elettorale che sembra nata solo per consentire ai due leader, rispettivamente, di superare lo sbarramento nazionale del 3% e di evitare la raccolta di decine di migliaia di firme nei pochi giorni di agosto ancora disponibili.

Nessun modello di società aperta, chiaramente ispirato ai principi e ai metodi liberali, è stato discusso e proposto all’opinione pubblica, e anzi la comparsa del nome di uno dei due leader nel simbolo è un chiaro segnale che va nel senso della personalizzazione della politica a cui gli ultimi trent’anni ci hanno purtroppo abituato ma che ai liberali non può certo piacere.

E tuttavia, in presenza di una lista che si richiama alla necessità di proseguire la realizzazione dell’agenda Draghi e che si propone come alternativa al bipopulismo di destra e di sinistra e a quel che resta del grillismo, e osservando un contesto politico in cui persistono le peggiori spinte populiste della morente Legislatura, i liberali di Democrazia liberale, per il senso di responsabilità che li caratterizza, non potranno fare mancare il loro sostegno, nei modi che si renderanno possibili, a chi sembra meno peggiore degli altri.

L’auspicio è che chi beneficerà di questa apertura di credito si renda conto che una visione della società aperta non può realizzarsi in modo compiuto senza l’apporto diretto di chi s’ispira ai valori della cultura liberale, l’unica che può favorire il dialogo e la sintesi tra le diverse opzioni culturali e programmatiche nell’interesse generale del Paese.

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