Le tessere del mosaico “Ungheria”

Le tessere del mosaico “Ungheria”

di Giuseppe Gullo

Il mosaico del caso Ungheria incomincia a incastrare le sue tessere nel posto che una mano sapiente sembra avere assegnato. Le prime sono quelle che riguardano il PM Storari che è apparso, dal momento in cui i fatti sono diventati pubblici, come il vaso di coccio tra tanti di ferro che lo hanno circondato e forse strumentalizzato in questa vicenda ancora, per tanti versi, oscura.

Fin dall’inizio il nostro ha dato l’impressione di essere un fantoccio nelle mani esperte di pezzi da novanta del calibro del dott. Davigo. Abbiamo poi scoperto che non era affatto così. E’ vero che non aveva notorietà fuori dal Palazzo di Giustizia di Milano e che il suo nome era stato fatto sempre come semplice comparsa quasi priva di rilievo e del tutto in balia di coloro che avevano il pieno controllo della situazione e che da trent’anni riempivano le cronache di giornali e tv.

Anche nel procedimento contro Amara, dal quale ha preso le mosse il caso Ungheria, affiancava l’aggiunto Pedio, notoriamente vicina al Procuratore capo Greco, con un ruolo che appariva subalterno e secondario. Eppure dopo la deflagrazione della vicenda, allorché è stato sottoposto a procedimento disciplinare e ne è stato richiesto il trasferimento per incompatibilità ambientale, 56 colleghi su poco più di 60 in servizio alla Procura di Milano hanno sottoscritto un documento di solidarietà nel quale si mettevano in evidenza la sua serietà, l’impegno e le qualità professionali e personali . Il CSM, di fronte ad una tale pubblica e inconsueta quanto clamorosa presa di posizione, non ha potuto fare altro che archiviare la richiesta avanzata dal Procuratore Generale della Cassazione.

Non mi risultano precedenti analoghi, considerate anche le fortissime tensioni all’interno della Procura di Milano letteralmente squassata dall’esito del processo Eni-Nigeria con il suo Capo alla vigilia della pensione e apertamente criticato da numerosi sostituti per i criteri di gestione dell’Ufficio. Mi è venuto in mente il caso Woodcock-Fatto Quotidiano-Sciarelli nel quale tutti i colleghi del PM sottoposto a procedimento disciplinare si sono ben guardati dallo spendere una sola parola in difesa del sostituto napoletano il quale, sebbene scagionato, da quel momento in poi è rimasto lontano da ogni ribalta mediatica. Nel caso Storari-Davigo, invece, la mobilitazione è stata massiccia e con i crismi dell’ufficialità e della pubblicità.

All’archiviazione del procedimento disciplinare si aggiunge adesso l’assoluzione, ancora più importante, del GUP di Brescia dal reato di rivelazione del segreto d’ufficio. La motivazione della sentenza è estremamente interessante. Il giudicante afferma che Storari ha sicuramente violato una norma extra penale non rispettando le precise direttive del CSM per il caso in cui un PM ritenga di dovere informare l’organo di autogoverno della Magistratura in merito a comportamenti che giudica contrari ai doveri d’ufficio sulla base di atti secretati. In tal caso vi è l’obbligo da parte di chi indaga di informare il Comitato di Presidenza del CSM inviando tutti gli atti in plico sigillato. La scelta di Storari è quindi sicuramente censurabile. Tuttavia, argomenta il GUP, vi sono motivi per ritenere che l’errore in cui è incorso sia scusabile in quanto riteneva di rivolgersi ad un soggetto abilitato a ricevere gli atti come membro del CSM, il quale lo rassicurava circa l’assoluta liceità della consegna. Aggiunge il GUP che non vi sono elementi per ritenere che tra i due, Davigo e Storari, vi fosse un’intesa volta a danneggiare un altro membro del CSM, il dott. Ardita, con il quale l’ex PM di “mani pulite” aveva interrotto i rapporti. Storari ha sbagliato, ma in definitiva poteva capitare a chiunque di comportarsi come ha fatto tenendo contro della difficoltà interpretativa delle circolari del CSM e delle assicurazioni fornite da un autorevole componente del Consiglio.

Il Gup si è formato questo convincimento ed esso va rispettato. Alcune domande, tuttavia, debbono essere poste. La prima riguarda la scelta di Storari. Egli viene definito da tutti coloro che lo conoscono come un magistrato serio, riservato, scrupoloso e attento. Ne è conferma, come s’è detto sopra, il fatto di avere ricevuto una solidarietà molto ampia da parte della stragrande maggioranza dei colleghi. Un simile magistrato può pensare che il Comitato di Presidenza del CSM, composto dal Vice Presidente, dal Procuratore Generale e dal Primo Presidente della Cassazione, si identifichi con la persona del dott. Davigo che, per quanto autorevole, notissimo, prestigioso è pur sempre un semplice componente dell’organo? Non sarebbe stato più naturale informare Davigo di avere trasmesso al Comitato di Presidenza del CSM verbali secretati per sollecitare un’iniziativa stante l’inerzia del Procuratore capo e chiedergli di seguire la pratica? Perché il file consegnato a Davigo era privo delle firme sebbene il contenuto fosse conforme alle deposizioni rese? Non sarebbe stato più logico che fosse una copia conforme degli originali sottoscritti da chi ha deposto e da chi ha ricevuto la deposizione, fatto domande e chiesto chiarimenti? Se la finalità era di investire della questione il CSM, perché fornire una copia non firmata?

Tra poco più di venti giorni avrà inizio il processo che vede imputato Davigo per gli stessi fatti per i quali è stato assolto Storari con l’imputazione di avere consegnato i verbali a numerosi consiglieri del CSM e al Presidente della Commissione parlamentare anti mafia, del tutto estraneo all’ambiente giudiziario. Sarà interessante sentire quali saranno le ragioni difensive di cui si avvarrà un “principe” dell’accusa, che per la prima volta si troverà su uno scranno più scomodo di quello sul quale si è seduto per decenni, e come giustificherà comportamenti che sembrerebbero difficilmente conciliabili con le direttive del CSM in tema di atti secretati. E’ una storia tutta da scrivere e la cui conclusione, come in ogni thriller che si rispetti, prevede molti colpi di scena.

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